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10 febbraio. Il giorno del ricordo delle vittime delle foibe
Una delle pagine più dolorose e oscure della Storia nazionale, a lungo ignorata negli anni che seguirono la fine della seconda guerra mondiale, riguarda i massacri compiuti dai partigiani del generale Tito sui cittadini italiani residenti nei territori della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Ancora oggi il ricordo delle vittime delle foibe e delle migliaia di italiani costretti a fuggire dalle proprie case è un argomento che divide non solo l’opinione pubblica ma anche gli storici.
La data del 10 febbraio come giorno del ricordo è stata scelta e istituita, con Legge del 30 marzo 2004 n. 92, “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Il 10 febbraio 1947, infatti, furono firmati i trattati di Pace di Parigi che assegnavano alla Jugoslavia territori precedentemente assegnati all’Italia dal Patto di Londra. Quando i territori tornarono in mano alla Jugoslavia, ebbe inizio per i cittadini italiani una feroce rappresaglia che li puniva per il solo fatto di aver vissuto sotto il regime fascista.
L’eccidio, che si configura come un vero e proprio episodio di pulizia etnica, coinvolse migliaia di persone tra infoibati e morti nei campi di concentramento. I sopravvissuti a tale eccidio diedero vita ad un vero e proprio esodo di massa verso l’Italia tra il 1946 e il 1956. È bene ricordare a tal proposito che non vennero mai emanate leggi o disposizioni ufficiali di tipo espulsivo dal governo jugoslavo, ma è pur vero che le autorità tramite vessazioni fisiche e morali costrinsero la popolazione italiana ad abbandonare quelle terre.
Tutto ebbe inizio nel 1943 e più precisamente dopo la riunione del Gran Consiglio del Fascismo (25 luglio 1943) che determinò lo scioglimento Partito Fascista, lo sfaldamento delle Forze Armate e la resa dell’8 settembre. Il crollo dell’esercito italiano si avvertì in modo particolarmente drammatico in Croazia e in Slovenia nelle cui capitali le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia Tito, avevano preso il sopravvento sconfiggendo i famosi ustascia, agli ordini del dittatore Ante Pavelic e i “domobranzi” appartenenti alla Slovensko domobranstvo formata da collaborazionisti nazisti nata per contrastare l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia.
La prima ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: i partigiani di Tito si vendicarono per i provvedimenti fascisti che avevano imposto in Istria e in Dalmazia l’italianizzazione della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingue reprimendo le libertà civili delle popolazioni locali.
Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, iniziarono la loro battaglia di riconquista del territorio sloveno e croato senza fare mistero di volersi impadronire della Dalmazia, dell’Istria e del Veneto, fino all’Isonzo.
Dal canto loro i tedeschi per molto tempo riuscirono a controllare i partigiani jugoslavi imponendo la stabilità con il loro consueto pugno di ferro sui territori. Subito dopo il crollo del Terzo Reich gli uomini di Tito presero il sopravvento con l’obiettivo di occupare i territori che erano stati negati alla Jugoslavia, senza considerare però che le truppe alleate stavano per arrivare: fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, eroe della battaglia di Cassino, la prima formazione alleata che entrò a Trieste nella serata del primo maggio 1945.
Gli jugoslavi dal canto loro si erano impadronirsi di Fiume e dell’Istria interna dando inizio alle prime esecuzioni sommarie contro gli italiani. Tra maggio e giugno del 1945 furono migliaia gli italiani obbligati a lasciare la loro terra, mentre i più sfortunati furono uccisi nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati.
Le foibe che caratterizzano le insenature carsiche naturali tipiche dell’Istria e Friuli Venezia Giulia sono grandi caverne verticali che si restringono a mano a mano che si scende in profondità per poi allargarsi sul fondo. Questa specifica conformazione naturale rese molto ardui i primi soccorsi delle vittime spesso gettate vive in queste cavità.
Fu Alcide De Gasperi il primo politico italiano a presentare agli Alleati, nel corso del 1945, una lista contenente i nomi dei deportati indicando “in almeno 7.500 il numero degli scomparsi”. Oggi sappiamo che in realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu di molto superiore a quello indicato da De Gasperi agli alleati e che le prime vittime della pulizia etnica furono gli appartenenti alle forze armate.
La morte nelle foibe fu spaventosa e molto crudele perché i condannati venivano legati l’uno all’altro con un lungo fil di ferro ai polsi e schierati sugli argini delle cavità naturali cosicché soltanto i primi della catena venivano trapassati dalle raffiche di mitra. Precipitavano nel vuoto trascinavano con sé gli altri condannati costretti a sopravvivere per giorni sui cadaveri dei loro compagni.
A Basovizza, in particolare, furono infoibate tremila persone nella sola zona di Trieste mentre a Fiume si raggiunsero livelli tali di crudeltà che la città si spopolò: in seguito a tali violenze furono molti i nuclei familiari che fuggirono verso l’Italia ben prima che la Conferenza di pace di Parigi terminasse (1947).
La delicata questione dei territori italo-jugoslavi, infatti, si inseriva in un quadro geo-politico estremamente complesso rischiando d’intralciare e ritardare la soluzione di problematiche ben più importanti come ad esempio la divisione della Germania e l’attribuzione delle relative zone alle potenze vincitrici del conflitto: USA e URSS.
L’Italia, dal canto suo, era alle prese con la gestione di un momento molto delicato ovvero il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica. Per tutte queste ragioni bisognò attendere a lungo prima che fosse firmato il Trattato di Pace di Parigi che pose fine al dramma delle terre italiane dell’Est furono consegnate a maggioranza italiana. Era il 10 febbraio 1947: l’Italia rinunciava per sempre a una parte della provincia di Gorizia, a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria. Fu solo nel 1954, infatti, che l’Italia riuscì a riprendere il controllo di Trieste allorquando la città smise di essere territorio internazionale e tornò a fare parte dell’Italia a tutti gli effetti.
In seguito al Trattato di Parigi la Jugoslavia confiscò i beni dei cittadini italiani dichiarando che in seguito sarebbero stati indennizzati dal governo di Roma, cosa che di fatto però non avvenne mai, dando luogo ad una vera e propria fuga degli italiani che abbandonarono tutto ciò che avevano.
Il governo e le istituzioni negli anni a seguire hanno sempre evitato di aprire la questione dei massacri perpetrati ai danni della popolazione italiana nei territori jugoslavi, a causa del contesto internazionale molto teso. Per tutte questi motivi i massacri delle foibe sono rimasti sconosciuti agli italiani per oltre cinquant’anni e cioè fino a quando il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il 3 novembre 1991, si recò in pellegrinaggio per la prima volta alla foiba di Basovizza chiedendo perdono per il lungo silenzio. Dopo quel gesto simbolico la tragedia delle terre orientali italiane divenne sempre più nota da far conoscere a tutti le sofferenze subite dagli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Il Parlamento italiano ha istituito il Giorno del Ricordo nel 2004 tramite la Legge Menia ma fu soltanto nel 2005 che gli italiani sono stati chiamati per la prima volta a celebrare la ricorrenza, in memoria dei quasi ventimila connazionali torturati e assassinati dalle milizie di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.
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