Il presente articolo andrà a sinterizzare il decreto emanato dal Ministero della Giustizia (nella GU Serie…
CRIPTOVALUTE: maneggiare con cura (2° parte)
Introduzione
Nel precedente articolo, apparso sempre in questo sito si è introdotto l’interessante argomento delle criptovalute definendone le caratteristiche e riportando le “raccomandazione” della Banca D’Italia. Si vuole con il presente, approfondire questa delicata materia ricordando che a livello normativo e di prassi, il nostro Paese non è sicuramente fra quelli che hanno ben inquadrato l’argomento.
Importante è ricordare (e richiamo espressamente un articolo apparso su Il sole 24 ore nel 2018 intitolato Il bitcoin finisce nella dichiarazione dei redditi di Fabrizio Cancelliere e Armando Tardini) che le criptovalute vanno monitorare nel quadro RW se detenute al di fuori del circuito degli intermediari residenti. Questa l’importante indicazione contenuta in una risposta (non pubblica) rilasciata dall’agenzia delle Entrate a un interpello. Inoltre, sulla scia della risoluzione n. 72/E/2016 (unico documento di prassi che ha assimilato le valute virtuali a quelle estere), l’amministrazione conferma che – nel rispetto della circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale – anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo RW.
Inoltre, la risposta delle Entrate all’interpello 956-39/2018 (smentendo la risoluzione 72/E/2016) statuisce che le valute virtuali devono essere indicate nel quadro RW e – se cedute a termine, oppure utilizzate come nozionale di contratti derivati differenziali o, infine, cedute o prelevate dal borsellino elettronico – generano redditi diversi di natura finanziaria.
Approfondimenti
Va sottolineato che fiscalmente il legislatore non è ancora intervenuto con norme specifiche, pertanto occorre partire dai richiamati documenti di prassi, che, andremo a sintetizzare di seguito.
Il primo documento di prassi da prendere in considerazione è la risoluzione 2 settembre 2016, n. 72/E che introduce immediatamente un concetto importante: le criptovalute sono assimilabili, dal punto di vista fiscale, a valute estere.
Precisamente la risoluzione ministeriale ci fornisce indicazioni sul trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali.
La circolazione delle monete virtuali, quale mezzo di pagamento si fonda sull’accettazione volontaria da parte degli operatori del mercato che, sulla base della fiducia, la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi, riconoscendone, quindi, il valore di scambio indipendentemente da un obbligo di legge. Si tratta, pertanto, di sistema di pagamento decentralizzato, che utilizza una rete di soggetti paritari (peer to peer) non soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né ad una Autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione.
L’Unione europea: l’inquadramento
Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative alle valute virtuali, non si può prescindere da quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14.
Secondo i giudici europei, tali operazioni rientrano tra le operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE.
In assenza di una specifica normativa applicabile al sistema delle monete virtuali, la predetta sentenza della Corte di Giustizia costituisce necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete virtuali e, nello specifico ai bitcoin.
In ossequio a quanto affermato dai giudici europei, pertanto, si ritiene che l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce una attività rilevante oltre agli effetti dell’IVA anche dell’IRES e dell’IRAP.
Precisamente, ai fini del trattamento IVA, si fa presente che il caso analizzato dai giudici europei riguarda un soggetto che svolge l’attività di cessione e acquisto di valuta virtuale in cambio di valuta “tradizionale”. Il compenso per tale attività è determinato in misura pari al margine che scaturisce dalla differenza (ipotizzando il caso di vendita di moneta virtuale da parte dell’operatore), da un lato, tra il prezzo che il cliente è disposto a pagare per acquistare una unità di moneta virtuale e, dall’altro, la miglior quotazione della moneta virtuale disponibile sul mercato.
La Corte, al riguardo, stabilisce:
- in primo luogo, che l’attività di commercializzazione delle criptovalute deve essere qualificata quale prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso e, inoltre,
- che le prestazioni in esame, pur riguardando operazioni relative a valute non tradizionali (e cioè diverse dalle monete con valore liberatorio in uno o più Paesi), “costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”.
Sussistendo tali condizioni, le prestazioni di servizi in esame rientrano nella previsione di esenzione di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE.
Secondo la Corte, che fa riferimento nello specifico ai bitcoin, “risulta …. che un’interpretazione di tale disposizione secondo la quale essa disciplina le operazioni relative alle sole valute tradizionali si risolverebbe nel privarla di parte dei suoi effetti.
Nel procedimento principale, è pacifico che la valuta virtuale «bitcoin» non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori.
Conseguentemente, si deve concludere che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva Iva disciplina anche le prestazioni di servizi come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti”.
Come va applicata l’IVA?
Pertanto, con riferimento al quesito iniziale la soluzione prospettata dall’Agenzia (che, come abbiamo capito, prende spunto dall’Unione Europea) va considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 3), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Come va applicata l’imposizione diretta?
Dal punto di vista invece dell’imposizione diretta: la Società deve assoggettare ad imposizione i componenti di reddito derivanti dalla attività di intermediazione nell’acquisto e vendita di criptovalute, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività.
Operativamente:
- in caso di ordine di acquistare, il cliente anticipa le risorse finanziarie alla Società che, effettuato l’acquisto di criptovalute, provvede a registrare nel wallet (“borsellino”) del cliente i codici relativi ai criptovalute acquistati;
- in caso di ordine di vendere, la Società preleva dal cliente i criptovalute e gli accredita, successivamente al completamento effettivo della vendita, la somma convenuta.
Il guadagno (o la perdita) di competenza delle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali è rappresentato dalla differenza tra quanto anticipato dal cliente e quanto speso dalla Società per l’acquisto o tra quanto incassato dalla Società per la vendita e quanto riversato al cliente. Questo elemento di reddito – derivante dalla differenza (positiva o negativa) tra prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente (nel caso in cui quest’ultimo abbia affidato alla Società l’incarico a comprare) o tra prezzi di vendita praticati dall’istante e ricavi di vendita garantiti al cliente (nel caso di affidamento di incarico a vendere) – è ascrivibile ai ricavi (o ai costi) caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata e, pertanto, contribuiscono quali elementi positivi (o negativi) alla formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini IRES ed IRAP.
Quantificazione delle Rimanenze di criptovalute
Con riferimento, alle criptovalute che a fine esercizio sono nella disponibilità (a titolo di proprietà) della Società, si ritiene che le stesse debbano essere valutate secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio e tale valutazione assume rilievo ai fini fiscali ai sensi dell’articolo 9 del TUIR. In pratica occorre quindi far riferimento al valore normale, intendendosi come tale il valore corrispondente alla quotazione delle criptovalute stesse al termine dell’esercizio.
A tal fine potrebbe ben farsi riferimento alla media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle piattaforme on line in cui avvengono le compravendite di bitcoin.
La società è sostituto d’imposta?
Per quanto riguarda, la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società, persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.
La Società, pertanto, non è tenuta ad alcun adempimento come sostituto d’imposta.
Antiriciclaggio
La Società istante, intenzionata ad esercitare professionalmente l’attività di negoziazione a pronti di valuta, è assimilabile ai soggetti di cui all’articolo 11, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231.
Pertanto, sarà tenuta agli obblighi di adeguata verifica della clientela, di registrazione nonché di segnalazione ai sensi del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007.
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