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Il teatro greco di Siracusa. Aperta la stagione teatrale nel luogo magico che il mondo ci invidia.
Come ogni estate l’Istituto Nazionale del dramma antico (Inda), dopo due anni di interruzione a causa della pandemia, presenta il 57esimo ciclo di rappresentazioni classiche che, dal 17 maggio al 9 luglio, anima il teatro greco di Siracusa con un rito sempre emozionante.
Ogni sera, al tramonto, in una cavea sul mare, il teatro di Siracusa mette in comunicazione il mondo degli uomini con quello degli dei in un luogo, come dice Davide Livermore, “che porta con sé non solo la memoria secolare della storia ma anche la consapevolezza fondamentale di come il teatro e l’arte si rinnovino costantemente col cambiare della nostra vita, della società, dei tempi”.
Le tragedie in scena saranno tre: l’Agamennone di Eschilo dal 17 maggio al 5 luglio, si alternerà con l’Edipo re di Sofocle dal 18 maggio al 3 luglio e l’Ifigenia in Tauride di Euripide dal 14 giugno al 4 luglio.
Il 6 luglio si prosegue con le Coefore-Eumenidi di Eschilo, il 9 è prevista una serata evento con la versione integrale dell’Orestea, sempre del celebre drammaturgo greco.
Il teatro greco di Siracusa situato all’interno del Parco archeologico della Neapolis, tra i fianchi rocciosi del Colle Temenite – sembra che la sua costruzione sia stata progettata tenendo conto della forma del colle al fine di sfruttare al massimo l’acustica – è uno dei più belli dell’antichità con la sua cavea rivolta verso il mare.
Caratteristica tipica dei teatri greci, infatti, era la valorizzazione della vista panoramica: il teatro di Siracusa non è esente da tale prassi offrendo la magnifica visione del porto e dell’isola di Ortigia.
Dal 2010 è gestito dal Servizio Parco Archeologico di Siracusa e Comuni limitrofi di cui rappresenta l’opera più prestigiosa, basti pensare che si tratta del più grande teatro antico della Sicilia dalla capienza di circa 10.000 spettatori.
La Fondazione INDA si occupa di tutelare l’integrità del patrimonio archeologico preservando lo spazio della cavea sulla base delle “autorizzazioni e delle prescrizioni” del responsabile del Parco Archeologico di Siracusa.
Il Teatro Greco di Siracusa fu eretto all’incirca nel V secolo a.C. dall’architetto Damocopos detto Myrilla (da “myroi”, unguenti. Per volere dell’architetto il tempio fu cosparso di unguenti il giorno dell’inaugurazione, n.d.r.).
Eschilo, per celebrare la rifondazione di Catania, vi rappresentò Le Etnee con il nome di Aitna dove, in seguito alla distruzione della calcidese Katane per volere di Gerone I, si erano rifugiati gli esuli.
Anche I Persiani, rappresentata ad Atene nel 472 a.C. sembra sia stata rappresentata a Siracusa. Mentre quest’ultima opera è giunta fino a noi, la prima è andata perduta. Molti altri invece citarono il suddetto teatro nelle loro opere, a cominciare da Diodoro Siculo fino a Plutarco.
Di forma semicircolare e concava al fine di ottenere una buona acustica, si presenta come il tipico teatro greco diviso in tre parti: la cavea, la parte riservata al pubblico divisa in due parti attraverso un passaggio stretto e lungo chiamato diazoma che suddivideva la cavea in summa cavea la parte più alta, e l’imacavea, la parte più bassa, e, l’orchestra.
Sia l’orchestra che l’area della scena recano tracce di trasformazioni susseguitesi nel corso dei secoli per sopperire alle diverse esigenze dovute all’utilizzo del teatro nei secoli.
Durante la dominazione romana le attività teatrali persero di importanza perché presero il sopravvento gli spettacoli dei gladiatori: a tal fine la cavea venne modificata in forma semicircolare tipica dei teatri romani e furono costruiti dei corridoi per favorire l’accesso all’edificio scenico (parodoi) ai gladiatori.
Anche la decorazione della scena subì numerosi rifacimenti nel corso dei secoli e delle dinastie: in epoca tardo-imperiale infine si apportarono altre modifiche per adattare l’orchestra ai giochi acquatici che tanto piacevano ai romani.
Del teatro la parte meglio conservata è quella scavata nella roccia del colle, mentre sono andati perduti sia una parte della cavea, sia i resti monumentali della scena di età romana, forse a causa del riuso dei blocchi ad opera degli Spagnoli che, sotto Carlo V, se ne servirono per realizzare le fortificazioni di Ortigia tra il 1520 ed il 1531 danneggiando e alterando gravemente l’identità strutturale dell’edificio.
Dopo la seconda metà del Cinquecento, Pietro Gaetani, marchese di Sortino, favorì l’insediamento di diversi mulini che vennero installati sulla cavea: di questi resta tutt’ora visibile la cosiddetta casetta dei mugnai, sulla sommità della cavea.
Sul finire del Settecento riprese l’interesse per il teatro anche grazie all’interessamento di famosi viaggiatori stranieri, in Italia per il Gran Tour.
Nel secolo successivo delle vere e proprie campagne di scavo condotte dal Landolina e dal Cavallari liberarono il monumento dalla terra che vi si era accumulata.
Nel 1914 l’Istituto nazionale del dramma antico (INDA) inaugurò le rappresentazioni di opere greche nell’antico teatro (la prima fu la tragedia Agamennone di Eschilo, a cura di Ettore Romagnoli).
Durante la prima guerra mondiale gli spettacoli furono interrotti per ritornare nel 1921 con le Coefore di Eschilo. In quell’occasione giunse a Siracusa anche Filippo Tommaso Marinetti che nell’ambito di un ciclo di conferenze tenute in città ribadì la posizione progressista del Futurismo.
Nel 1930, invece, giunse in visita il re Vittorio Emanuele III che, richiamato dal prestigio della nota manifestazione estiva, volle assistette ad una delle rappresentazioni al teatro greco.
Nel complesso possiamo pur dire che nonostante i rimaneggiamenti susseguitisi nel corso dei secoli per consentire l’utilizzo della struttura per scopi differenti dalle rappresentazioni teatrali, la sua acustica e la funzionalità originarie non sono state mai distrutte o penalizzate e ancora oggi, grazie alle numerose e attente ristrutturazioni, si può godere di una tra le più significative stagioni teatrali italiane che, insieme al panorama mozzafiato, rende il teatro di Siracusa “un luogo magico che il mondo ci invidia”.
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