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A Napoli la mostra della celebre pittrice del seicento Artemisia Gentileschi

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Artemisia

Si tiene a Napoli, dal 3 dicembre 2022 al 20 marzo 2023, la mostra dedicata ad Artemisia Gentileschi la celebre “pittoresca”; nel corso della sua carriera produsse capolavori di grande realismo e spiccata sensualità.

La mostra – organizzata in collaborazione con la National Gallery di Londra, il Museo di Capodimonte, l’Archivio di Stato di Napoli e l’Università L’Orientale – è in via Toledo nello splendido Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale delle nuove Gallerie d’Italia.

Il progetto delle Gallerie d’Italia nasce come approfondimento dell’evento del 2020, della National Gallery di Londra, dedicato all’artista Artemisia Gentileschi.

Gli spettatori potranno ammirare ventuno dipinti di Artemisia, in dialogo con le opere di altri artisti attivi a Napoli in quegli stessi anni, da Massimo Stanzione a Paolo Finoglio, da Francesco Guarino ad Andrea Vaccaro e con una pittrice locale, riscoperta solo di recente; Anna detta “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento che, secondo la tradizione, fu vittima anche lei della violenza di genere come accadde per la Gentileschi.

Artemisia nacque a Roma l’8 luglio 1593: figlia d’arte di Orazio Gentileschi (Pisa, 1563 – Londra, 1639). Maturò ben presto un gusto artistico del tutto personale e indipendente dal padre che, dal canto suo, fece di tutto per far sì che il talento di Artemisia si esprimesse nel migliore dei modi possibili; l’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, colore e impasto”.

Tuttavia la ragione per cui Artemisia è diventata famosa è legata ad un dato puramente biografico della sua esistenza: subì lo stupro dal suo maestro Agostino Tassi, amico e collaboratore del padre.

Per riparare all’infamia del disonore il Tassi accettò il matrimonio riparatore, senonché ben presto si venne a sapere che era già sposato. Fu allora che Orazio Gentileschi denunciò l’amico dando luogo ad un iter processuale che si protrasse per sette lunghi mesi e si concluse con la condanna all’esilio.

In seguito Artemisia si trasferì a Firenze guadagnandosi la stima dei granduchi e di molti artisti tra cui Michelangelo Buonarroti, il Giovane.

Fu la prima donna ammessa all’Accademia delle Arti del Disegno, fondata da Giorgio Vasari nel 1563. Vi rimase iscritta fino al 1620, quando chiese al granduca il permesso di trascorrere del tempo a Roma per sistemare alcune questioni familiari.

Tra le opere giovanili ricordiamo Susanna e i Vecchioni, datata 1610, Giuditta e Oloferne celebre per la violenza con cui è raffigurata la giovane donna che si scaglia contro il rivale per tagliargli la testa.

A Venezia, invece, dipinse Ester e Assuero splendida fusione di realismo caravaggesco e sontuosità veneziana. Fu nel 1630 che Artemisia, poco più che trentasettenne, si trasferì a Napoli, capitale del vicereame spagnolo, dove ebbe molti mecenati – da don Antonio Ruffo di Sicilia a re Filippo IV di Spagna – e collaborazioni con i migliori artisti del luogo.

A Napoli dipinse molte opere prestigiose tra cui l’Annunciazione (oggi conservata presso il Museo Nazionale di Capodimonte) e tre tele per la Cattedrale di Pozzuoli, ovvero il San Gennaro, l’Adorazione dei Magi e i Santi Procolo e Nicea.

Nel 1637 Carlo I di Inghilterra la invitò presso la sua corte. A Londra lavorò al Trionfo della Pace e delle Arti ricongiungendosi al padre che stava lavorando alla decorazione del soffitto della Queen’s House di Greenwich.

Tornata a Napoli, vi rimase fino alla morte nel 1653: trovatasi in difficoltà economiche accettò di lavorare per don Antonio Ruffo, un collezionista di Messina che le aveva commissionato alcune opere. Tuttavia i problemi economici non diminuirono al punto che fu costretta a svendere le sue opere. Trascorse gli ultimi anni della vita assillata dalle necessità e dalle spese.

Dopo la sua morte venne rapidamente dimenticata tanto è vero che il Baglione nel Le vite de’ pittori, scultori et architetti (1642) ne fece solo un breve cenno in calce alla biografia del padre. Fu Roberto Longhi, celebre storico dell’arte, che nel 1916 ne riscoprì la sua figura e inquadrò il suo personaggio nell’ambito del caravaggismo.

Roberta Fameli
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