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LOCAZIONE DI IMMOBILI AD USO ABITATIVO: Risoluzioni e problematiche dei canoni non percepiti

Profilo redazionale della testata giornalistica.

Ai sensi dell’art. 26, comma 1, del d.p.r. n. 917/1986 (c.d. “T.U.I.R.”) “I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale […]”.

Ad una prima lettura, potrebbe sembrare incostituzionale, per violazione del principio della capacità contributiva, prevista dall’art. 53 della costituzione, l’inciso “indipendentemente dalla percezione”, in quanto il mancato incasso di canoni di locazione non costituisce manifestazione di capacità reddituale da parte del contribuente persona fisica, non imprenditore.

Proprio sulla costituzionalità della suddetta norma si è espressa la Consulta, con sentenza n. 362/2000, la quale, nell’affermare che presupposto impositivo dell’allora art. 23 del “vecchio” T.U.I.R. si fonda su una mera potenzialità di percezione del reddito, ha sancito la legittimità costituzionale della predetta norma, evidenziando che la fonte reddituale che giustifica la tassazione dei canoni di locazione eventualmente non percepiti è da rinvenirsi nella fonte contrattuale, e non nell’effettivo incasso delle somme.

Ciò, però, è vero fin tanto che – specifica la Consulta – perduri un «canone in senso tecnico», ossia finché il contratto di locazione sia produttivo di obbligazioni tra le parti.

Le polemiche attorno alla portata applicativa di tale disposizione, però, non si sono esaurite con il suddetto intervento della Corte costituzionale, che non ha fugato completamente i dubbi sull’effettiva assoggettabilità ad Irpef dei canoni di locazione non percepiti da soggetti non esercenti attività imprenditoriale.

Per tale motivazione, lo stesso legislatore, con l’art. 3-quinquies, comma 1, del d.l. n. 34/2019 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 58/2019) – applicabile, ai sensi del successivo comma 2 della norma da ultimo richiamata, ai contratti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2020 – ha modificato la seconda parte del primo comma dell’art. 26 del T.U.I.R., prevedendo che “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purchè la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento”.

Nonostante il suddetto intervento legislativo, permane, nel nostro ordinamento, la presunzione di percezione dei canoni di locazione contrattualmente pattuiti, ancorchè non percepiti, e, dunque, rimangono valide le pronunce della giurisprudenza (di legittimità e di merito) e i documenti di prassi che, nel passato, hanno analizzato le implicazioni fiscali connesse al momento effettivo della cessazione del contratto di locazione.

Tra tale documentazione, vale la pena segnalare la circolare dell’agenzia delle entrate n. 11 del 21 maggio 2014, la quale ha specificato che la cessazione degli effetti obbligatori del contratto di locazione si ha «per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione del contratto» (par. 1.3.).

Nel tralasciare la disciplina civilistica relativa all’istituto della “risoluzione del contratto”, occorre domandarsi quale sia l’effettivo momento in cui acquista validità detta causa di cessazione del contratto di locazione, ai fini fiscali.

In particolare, è necessario comprendere se, per la detassazione, ai fini Irpef, dei canoni di locazione spettanti ma non percepiti, sia necessario avere riguardo all’adempimento (formale) della registrazione della risoluzione del contratto di locazione dinanzi agli uffici finanziari (ai sensi degli artt. 17 del d.p.r. n. 131/1986 e 5 della tariffa, parte prima, del menzionato d.p.r.), oppure al momento in cui le parti, in maniera effettiva, pattuiscono la cessazione degli effetti del contratto di locazione nei loro confronti.

A tale quesito ha dato risposta la giurisprudenza della Cassazione, la quale ha stabilito che è «manifestamente irrilevante[…] il dato della registrazione dell’intervenuta risoluzione, che risponde a mere finalità di pubblicità, senza incidere sul regime sostanziale del rapporto contrattuale» (Cass. n. 22588/2012).

A tale orientamento si è adeguata anche la giurisprudenza di merito, la quale, coerentemente alla riportata pronuncia di legittimità, ha ribadito che il momento della registrazione non ha alcuna «efficacia costitutiva della pattuizione tra le parti» (CTR della Lombardia n. 5566/16/2019, conforme anche CT II° gr. Trentino-Alto Adige n. 56/1/2019).

Secondo le dette pronunce, quindi, il contribuente può attribuire efficacia retroattiva all’accordo risolutorio intervenuto con il conduttore, purchè risultino documenti aventi data certa in grado di dimostrare che la cessazione degli effetti del contratto di locazione sono da individuare in un periodo antecedente al momento della registrazione della risoluzione del contratto dinanzi ai competenti uffici finanziari (sul punto, si vedano, ex multis, CTR della Lombardia n. 1647/2018, CTR della Toscana n. 1575/2018, CTR della Campania n. 9807/2018).

Tra la documentazione che può risultare utile al contribuente per dimostrare che la risoluzione del contratto sia intervenuta prima della sua formale registrazione, la Cassazione, con sentenza n. 27265/2019, sembra suggerire di produrre le utenze volturate a favore di soggetto diverso dal conduttore risultante dal contratto di locazione.

In detta pronuncia, infatti, la Suprema Corte ha stabilito che fosse fondamentale considerare che, nel caso da essa affrontato, a distanza di quattro anni dall’asserita cessazione del rapporto locatizio, le utenze fossero ancora intestate alla conduttrice risultante dal contratto di locazione.

In assenza di volture a favore di terzi, quindi, la Corte di legittimità ha riconosciuto, come momento perfezionativo della risoluzione del contratto di locazione, la data di registrazione dinanzi agli uffici finanziari.

In conclusione, quindi, è all’effettivo momento di cessazione del rapporto contrattuale che bisogna avere riguardo, a nulla rilevando un mero adempimento formale quale la registrazione della risoluzione del contratto.

Ciò purchè il contribuente sia in grado di dimostrare, carte [rectius: utenze volturate] alla mano, che il momento perfezionativo della risoluzione del contratto di locazione sia da individuare in un periodo antecedente alla sua registrazione.

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