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Società in liquidazione e fallimento
Il presupposto oggettivo dell’accesso alla procedura di liquidazione giudiziale è oggi codificato all’art. 2 co.1 lett. b) CCII che, replicando fedelmente l’art. 5 del R.D. 267/42, dispone che l’insolvenza è “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
Concetto la cui estensione è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali e che trova un suo contemperamento nella necessaria valutazione che il Tribunale deve compiere nelle ipotesi in cui occorre statuire in ordine al ricorso proposto nei confronti di una società in liquidazione.
Una recente giurisprudenza (Corte di Appello di Salerno sentenza n°523 del 06.06.2024), seppur resa con riferimento ad un reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento, consente di meglio approfondire la tematica.
La Corte recupera preliminarmente il consolidato principio secondo il quale “la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 legge fall. alla società in liquidazione, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò proprio perché, non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, e alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci, non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass., ord., 3.8.2017, n. 19414; Cass., 7.12.2016, n. 25167).”
Nel solco di tale perimetrazione la questione che va approfondita attiene, dunque, l’esatta valutazione dell’entità dell’attivo e della sua capacità a soddisfare i creditori con la liquidazione delle sue componenti che “deve essere improntata a concretezza, al di là cioè dei valori astratti delle rimanenze risultanti nelle scritture contabili”; in tal senso rilevando anche il fattore temporale, essendo richiesto che il patrimonio esprima un valore oggettivamente idoneo a soddisfare i debiti, così da risultare ragionevolmente liquidabile in tempi compatibili col fine della liquidazione (Cass., ord., 10.12.2020, n. 28193).
Sul punto, e con riferimento al caso concreto, la Corte ha assunto che “la valutazione dell’attivo secondo concretezza non vuol dire che l’insuccesso dei tentativi di vendita senza incanto di due terzi del compendio immobiliare sia sintomo di astrattezza delle stime del compendio immobiliare. Le stime non esprimono valori astratti di bilancio appostati dalla società ma valutazioni del più probabile valore di mercato di quattro esperimenti condotti secondo le metodologie più appropriate.
In altri termini, la difficoltà di pronta liquidazione non significa che il prezzo che si può ragionevolmente ricavare dalla vendita in tempi compatibili con quel tipo di operazione sia di molto inferiore alla stima peritale, al punto da non coprire interamente i debiti”. Con la conseguenza che, in considerazione dell’elevato differenziale tra i debiti e le stime, compatibilmente con la difficoltà di un’operazione che esige tempi non brevi, la liquidazione dell’intero complesso immobiliare è stata ritenuta in grado di sodisfare integralmente i creditori, determinando, così, l’accoglimento del reclamo per insussistenza dello stato di insolvenza dalla società in liquidazione.
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