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Esonero dalla responsabilità della Regione per gli incidenti con gli animali selvatici: necessaria la prova del caso fortuito per negare il risarcimento
La sentenza della Corte di Cassazione n. 12714/2024 si inserisce in un contesto giuridico di crescente attenzione alla responsabilità degli enti pubblici per i danni causati da fauna selvatica. In particolare, la decisione si concentra su due aspetti chiave: la qualificazione giuridica della fattispecie e l’onere probatorio.
Il Caso
La vicenda coinvolge una donna il cui veicolo è stato danneggiato da un capriolo che ha improvvisamente attraversato la strada. La donna ha richiesto il risarcimento dei danni alla Regione, sostenendo la responsabilità dell’ente per la gestione della fauna selvatica. In primo grado, il giudice di pace ha condannato l’amministrazione al risarcimento di quasi 3.000 euro, ma in appello il tribunale ha ribaltato la decisione, rigettando la domanda, poiché secondo i giudici la donna non ha dimostrato la colpevolezza dell’ente. La donna ha quindi portato il caso in Cassazione.
Gli ermellini hanno affermato che il giudice non è vincolato dalla qualificazione giuridica della fattispecie proposta dalle parti. Nel caso de quo, mentre inizialmente la vicenda era stata inquadrata nell’ambito dell’art. 2043 del Codice Civile (responsabilità aquiliana per fatto illecito), la Suprema Corte ha ritenuto più appropriato applicare l’art. 2052 c.c., che disciplina la responsabilità per danni cagionati da animali. In particolare, mentre l’art. 2043 c.c. prevede la responsabilità per danno ingiusto causato con dolo o colpa, richiedendo quindi la prova di un comportamento colposo o doloso dell’ente; l’art. 2052 c.c. stabilisce la responsabilità oggettiva del proprietario di un animale per i danni da esso causati, salvo prova del caso fortuito.
Di conseguenza, la Corte ha posto l’accento sull’onere della prova, spostandolo sull’ente pubblico (in questo caso, la Regione). Secondo l’art. 2052 c.c., infatti, l’ente può essere esonerato dalla responsabilità solo dimostrando che l’evento dannoso è stato causato da un caso fortuito, cioè da un evento imprevedibile e inevitabile nonostante l’adozione di misure adeguate e diligenti per la gestione della fauna selvatica. Questo implica che la Regione avrebbe dovuto provare che l’attraversamento del capriolo sulla strada era non solo imprevedibile, non rientrante cioè tra gli eventi normalmente prevedibili nella zona specifica, considerata la presenza della fauna selvatica, ma anche inevitabile, ossia non era possibile prevenire l’evento anche con l’adozione di misure preventive ragionevoli e adeguate, come recinzioni o segnaletica specifica.
Evoluzione giurisprudenziale
All’interno del nostro Codice Civile l’art. 2052 c.c. disciplina specificatamente il danno cagionato da animali; “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Orbene, per lungo tempo, la giurisprudenza ha sostenuto che i danni causati dalla fauna selvatica non fossero risarcibili ai sensi dell’art. 2052 c.c., ma solo secondo i principi generali dell’art. 2043 c.c., che richiede la prova di un comportamento colposo dell’ente pubblico. In pratica, il danneggiato che agiva in giudizio doveva dimostrare non solo l’esistenza del danno e il nesso di causalità, ma anche una colpa specifica dell’amministrazione.
La Corte Costituzionale aveva dapprima avallato questa interpretazione, ritenendo logica la differenziazione di trattamento tra i privati proprietari di animali domestici e l’amministrazione pubblica, che non può essere considerata custode degli animali selvatici (Corte Cost. 4/2001). Questo approccio si basava sull’idea che la responsabilità ai sensi dell’art. 2052 c.c. fosse collegata alla violazione di un dovere di “custodia” dell’animale, concetto non applicabile alla fauna selvatica.
Tuttavia, un orientamento giurisprudenziale più recente ha ammesso l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. anche ai danni causati da animali selvatici. Questa nuova interpretazione si basa sul testo della norma, che non distingue tra animali domestici e selvatici, ma parla di animali “di proprietà o utilizzati dall’uomo”. Inoltre, l’art. 2052 c.c. non richiede necessariamente una custodia attiva dell’animale, essendo applicabile anche in caso di animali smarriti o fuggiti.
I giudici di legittimità hanno chiarito che il riferimento alla proprietà e all’utilizzo serve a identificare un criterio oggettivo di responsabilità, secondo cui chi trae un beneficio dall’animale ne sopporta anche i rischi, salvo il caso fortuito (Cass. 13848/2020). Questo riflette il principio “ubi commoda ibi et incommoda” (chi gode di un vantaggio deve anche sopportarne gli svantaggi). In particolare, la responsabilità della gestione della fauna selvatica è generalmente delegata alle Regioni e, in alcuni casi, alle Province autonome. Questo implica che tali enti sono responsabili della conservazione, gestione e controllo della fauna, il che include anche l’adozione di misure preventive per evitare incidenti stradali e danni causati dagli animali selvatici. Dunque, la giurisprudenza più recente ha stabilito che la Regione o la Provincia autonoma, essendo l’ente che beneficia (anche se indirettamente, per esempio attraverso il turismo o la biodiversità) della presenza della fauna selvatica sul territorio, deve rispondere dei danni causati da questi animali proprio in applicazione del citato principio “ubi commoda ibi et incommoda“.
L’ampliamento dell’interpretazione dell’art. 2052 del Codice Civile da parte della recente giurisprudenza, per includere anche i danni causati dalla fauna selvatica, ha sollevato la questione di chi debba essere considerato in tali casi il soggetto responsabile, cd. legittimato passivo. La questione si articola su due livelli principali: l’attribuzione della proprietà degli animali selvatici e la gestione e controllo di tali animali da parte dell’amministrazione pubblica.
In passato, gli animali selvatici come cervi e cinghiali erano considerati “res nullius“, cioè senza proprietario, e i danni da essi causati non erano risarcibili. La situazione è cambiata con la legge 968/1977 e la successiva legge 157/1992, che hanno stabilito che la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato. Le Regioni, con eventuale delega alle Province, sono incaricate della gestione e protezione della fauna selvatica.
Le Regioni sono responsabili di emanare norme per la gestione e tutela della fauna (art. 1, c. 3, L. 157/1992) e di istituire fondi per risarcire i danni causati dalla fauna selvatica, specialmente alla produzione agricola (art. 26, c. 1, L. 157/1992). Le Province gestiscono le funzioni amministrative di interesse provinciale, tra cui la caccia e la pesca nelle acque interne (art. 19, c. 1, lett. f), TUEL).
Inizialmente, la giurisprudenza considerava le Regioni come i soggetti responsabili per i danni causati dalla fauna selvatica, anche quando delegavano funzioni alle Province. Questo perché la delega non escludeva la responsabilità finale della Regione. Successivamente, si è affermato che la responsabilità potesse essere attribuita a vari enti pubblici (Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione), a seconda del caso specifico e della gestione effettiva della fauna.
La questione si è complicata ulteriormente con la necessità di determinare se l’ente gestisse autonomamente o agisse solo come “nudus minister“, ovvero senza poteri decisionali propri. Questo ha creato incertezze che hanno compromesso l’efficacia della tutela giurisdizionale.
La pronuncia della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha chiarito che, ai sensi dell’art. 2052 c.c., la responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica è delle Regioni. Le questioni relative alla delega di funzioni e alla gestione effettiva possono essere rilevanti solo nelle azioni di rivalsa tra la Regione e l’ente delegato (Cass. 13848/2020). Inoltre, il giudice non è vincolato dalla qualificazione giuridica data dalle parti e può riqualificare la fattispecie in base ai fatti presentati (Cass. 13757/2018; Cass. 11805/2016).
In particolare, la Corte ha sottolineato che in caso di danno da fauna selvatica, il danneggiato deve dimostrare la dinamica del sinistro, il nesso causale con l’animale e che l’animale rientri tra quelli protetti dallo Stato. Spetta invece alla Regione provare l’esistenza del caso fortuito, cioè che l’evento fosse imprevedibile e inevitabile, per escludere la propria responsabilità. Questo include anche dimostrare che eventuali danni siano stati causati dalla condotta imprudente del danneggiato (C. Cass., Sez. III. Ord. 9 maggio 2024, n. 12714).
Nella fattispecie in esame, la Corte ha accolto il ricorso della danneggiata, ritenendo che la sentenza di merito avesse erroneamente attribuito a lei l’onere della prova, che invece spetta all’ente pubblico convenuto.
Orbene, l’evoluzione giurisprudenziale ha ampliato la tutela per i danneggiati da fauna selvatica, facilitando l’accesso al risarcimento. Le Regioni devono adottare misure preventive adeguate, come segnaletica stradale, barriere protettive e monitoraggio della fauna. Inoltre, devono garantire che le deleghe alle Province o ad altri enti siano accompagnate da adeguati strumenti finanziari e gestionali per evitare che la responsabilità si disperda senza un effettivo controllo.
Questo sviluppo impone anche alle amministrazioni locali di rivedere le proprie politiche di gestione della fauna e di prepararsi a eventuali contenziosi, assicurando una chiara definizione delle responsabilità e un’efficace allocazione delle risorse.
In sintesi, la sentenza della Cassazione n. 12714/2024 rappresenta un punto di riferimento importante nel riconoscimento della responsabilità degli enti pubblici per i danni causati da fauna selvatica, ribadendo la necessità di una gestione attenta e preventiva di tali situazioni per garantire la sicurezza stradale e proteggere gli utenti della strada.
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