Quando parliamo di sostenibilità, spesso la associamo alla tutela dell’ambiente o a una crescita economica equa…
Ancora sulle misure protettive erga omnes
Il dibattito si arricchisce di un’ulteriore pronuncia che valorizza il sistema del “doppio controllo” giudiziario
Il procedimento di composizione negoziata trova una sua importante parentesi “incidentale”, tra l’altro solo eventuale rispetto all’avvio del percorso, con la disposizione declinata all’attuale art. 6 del D.L. 118/2021 ed in virtù della quale (comma 1) si faculta l’imprenditore a richiedere, “con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza presentata con le modalità di cui all’articolo 5, comma 1, l’applicazione di misure protettive del patrimonio”. Nota è, al momento la diversità di vedute che si ricavano dall’analisi dei primi provvedimenti di merito, oscillando tra una tesi, maggiormente possibilista, intesa a ritenere che le misure protettive possano trovare efficacia “erga omnes” (così investendo tutti i soggetti potenzialmente interessati, con la sola eccezione normativa dei diritti dei lavoratori); a cui si contrappore un orientamento più rigoroso che limita la disposizione ai soli creditori che abbiano già introdotto azioni esecutive o cautelari.
Ad arricchire il dibattito è intervenuto un ulteriore provvedimento reso dal Tribunale di Salerno in data 10.05.2022 che, nel dare evidenza del contrapposto orientamento, assume una chiara posizione che offre interessanti elementi di riflessione, in particolare per il percorso motivazionale con il quale giunge alla conclusione di ritenere possibile una “protezione generalizzata” estendibile a tutti i creditori.
L’organo giudiziario, investito di una istanza di misure protettive erga omnes richieste congiuntamente a quella di accesso alla procedura di composizione negoziata della crisi per il termine di 120 giorni, dopo aver dato atto dell’esistenza di un espresso parere positivo fornito dall’esperto in ordine alla conferma delle richieste misure e dell’esito dell’audizione delle parti, si sofferma sul contenuto del vaglio giudiziario individuato, nella sua centralità, nella verifica “che il ricorrente abbia provato un proprio concreto interesse ad un provvedimento generale ed astratto e che non emergano, vuoi dalla relazione dell’esperto vuoi dalle memorie depositate dai creditori costituiti, controindicazioni specifiche”. Declinando, poi, il principio da porre a base della decisione che valorizza anche il precipuo compito giudiziale nella fase eventuale e successiva della revoca, stabilendo che “non coglie nel segno la tesi secondo la quale le misure di protezione non potrebbero essere concesse erga omnes perché solo i creditori titolari di una posizione già suscettibile di pregiudicare la par condicio creditorum sono in grado di contraddire la domanda. Infatti, va letto con attenzione il comma 6 dell’art. 7 laddove non solo conferisce a tutti i creditori la legittimazione a chiedere la revoca della misura ma anche precisa che si compiono in sede di revoca sia il controllo sull’utilità delle misure rispetto all’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative sia il controllo di proporzionalità delle misure rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori. Tale norma descrive quindi una tutela posticipata e non preventiva. Tale norma indica, piuttosto, che in sede di revoca va verificata la funzionalità delle singole misure al buon esito delle trattative, la loro incidenza su beni strumentali dell’impresa necessari per la prosecuzione dell’attività nella prospettiva del suo risanamento, nonché la loro proporzionalità al sacrificio che ne deriva per il creditore”.
Il che sembra introdurre la valorizzazione di una sorta di “doppio controllo” giudiziale, con diverse graduazioni, prevedendo un primo riscontro, meno rigoroso, inteso esclusivamente a verificare “che l’esperto ed i creditori, se costituiti, non contestino o addirittura condividano le tesi del ricorrente della sussistenza di una ragionevole prospettiva di risanamento della crisi dell’impresa e dell’utilità delle misure protettive richieste per lo svolgimento delle trattative ovvero alla verifica che non emergano dai documenti elementi che dimostrino l’assoluta improbabilità del risanamento ovvero ancora che dimostrino ingiusti pregiudizi per i creditori”; ed un secondo, solo eventuale, in cui è possibile verificare in concreto, in sede di richiesta di revoca delle misure, l’effettiva utilità delle stesse.
Così argomentato il Tribunale conclude nel senso di ritenere ammissibile la richiesta dell’imprenditore di imporre genericamente a tutti i creditori il divieto di acquisire diritti di prelazione o di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio dell’impresa in pendenza della procedura di composizione negoziata della crisi ogni qual volta il ricorrente abbia provato che, allo stato, le misure protettive appaiono strumentali al buon esito delle trattative, che appunto le stesse sarebbero inevitabilmente pregiudicate se i creditori potessero agire individualmente nei confronti della società così precludendo la realizzazione del piano di risanamento. Evidenziando, infine, l’ulteriore tematica, solo accennata, della “riserva di ulteriori domande” volte alla rinegoziazione dei contratti di mutuo, all’erogazione di nuova finanza ed alla rideterminazione della durata dei contratti, in ordine ai quali il Tribunale sollecita l’approfondimento con spunti di sicuro interesse.
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