Il 3 giugno 1924, a causa della tubercolosi che lo affliggeva dal 1917, ci lasciava a…
Arte in Virus
Dal cambiamento sociale nel periodo pandemico è scaturito un nuovo approccio della visione dell’arte. Il punto adesso è individuare come si evolverà il quadro artistico-filosofico nel periodo post-pandemico.
È d’obbligo, per individuare ciò, indagare il periodo storico che ha segnato il percorso preparatorio e che ci aiuterà ad immaginare questa nuova fase. La Filosofia è fondamentale per la formazione e la lettura dei movimenti artistici passati e futuri.
A tal proposito, importanti ai fini analitici sono due epoche storiche fondamentali.
La prima è l’Illuminismo di Rosseau e Voltaire. Con il loro mondo intellegibile e la convinzione di poter conquistare e dominare la realtà, essi immaginano l’artista-creatore che si autoimpone la propria legge.
Nella stessa scia, in maniera più ortodossa, rafforza il tutto il movimento tedesco Sturm und Drung con il concetto del genio artistico posto al vertice dei valori umani (Hauser).
In quest’ottica, il genio è libero da costrizioni esteriori e da inlibertà interiori.
Il Genio afferma il principio dell’originalità.
Egli è un’intelligenza pura, superiore, indisciplinata, in totale assenza di valori.
L’artista vive nel mondo fantastico dell’arbitrio.
Il genio non osserva, vede e sente!
La massima espressione artistica di questa filosofia è sicuramente rappresentata da Marcel Duchamp che, spingendosi al limite (e anche oltre il limite), nega la qualità artistica e dà vita al movimento ready-made.
La ready-made individua l’oggetto sottraendolo alla sua funzione, trasformatolo in un’opera d’arte. E qui è la trasmigrazione dal figurativo-pittorico al concetto filosofico.
Il pensiero di Duchamp raccoglie e racchiude arte e filosofia. L’opera emblematica del suo concetto è rappresentata da “la Fontana”.
In modo originario egli prende un orinatoio. Lo trasmigra dalla sua funzione primordiale. Lo capovolge e lo eleva al rango di opera d’arte (celebre la scena del film “Così parlò Bellavista” di De Crescenzo).
In esso è racchiuso tutto il concetto di “Fontana”, destinato in qualche modo alla funzione dell’orinatoio di riceve ed elargire “acqua”.
Nell’opera di Duchamp si intuisce il nuovo “virus artistico-filosofico” del nichilismo. Inteso questo come il pensiero della negazione di valori di ogni società costituita. Predomina la sfiducia nell’uomo. È auspicata la distruzione di ogni ordinamento politico e sociale riconosciuto. La distruzione del mondo delle macchine, dei telai, dell’industria.
E a questo punto s’innesta un nuovo genio artistico: Andy Warhol.
Inventore della Pop-Art con la quale, concettualmente, capovolge il teorema di Duchamp.
L’oggetto non viene sradicato dalla sua finzione ma diventa opera d’arte proprio assolvendo alla sua funzione.
Emblematico del concetto è la sua elevazione ad opera d’arte della Soup Campbell e delle lattine della Coca-Cola.
Duchamp e Warhol. Due grandi geni che hanno rivoluzionato la filosofia e l’arte del secolo scorso riassumendo l’essenza di tutti i movimenti artistici del Novecento. Essi rappresentano, certamente, anche la base di partenza del pensiero art-filosofico del post-pandemia.
Oggi è d’obbligo collegare il bagaglio art-filosofico dell’Italia, quale punto di partenza di cultura e contaminazione di forme artistiche e filosofiche e le moderne forme di tecnica artistica e filosofia.
Qui ancora predomina il dualismo tra “classico” e “moderno” contrapponendo artisti e filosofi delle due epoche.
D. Gavina, a tal proposito, definisce “classica la forma e moderno lo spirito dei tempi”, negando ogni contrapposizione tra i termini e considerando i due concetti consequenziali.
Nella quotidianità attuale (lo spirito dei tempi in pandemia), d’altronde, assistiamo impotenti alla chiusura di spazi per l’arte, gallerie, teatri, musei, cinema.
L’art-filosofia però, anche in questo contesto, ha continuato la sua opera. Da un lato si è sopperito con i musei virtuali soddisfacendo il bisogno di vicinanza alle opere vere.
Dall’altro essa ha assunto il ruolo di vettore sociale e benefico, proponendosi come catalizzatore di fondi, risorse per le necessità immediate.
Arte sociale
Il periodo di pandemia ha dato origine, quindi, ad un nuovo (o rivisitato) corso in campo art-filosofico.
Vi è un importante e rinnovato ritorno ad un’arte sociale.
Da oltre un ventennio si era assistito ad uno snaturamento della funzione dell’arte in sé.
Si era registrato un fenomeno di chiusura, con un’enclave nelle stanze del capitale. I collezionisti man mano hanno perso la funzione dei mecenati e assunto il ruolo di speculatori artistici. Hanno programmato quotazioni ondeggianti, dove la qualità pittorica e artistica e il pensiero filosofico non sono alla base del valore dell’opera. Esso rappresenta solo il risultato di movimenti finanziari-speculativi decisi da pochi.
L’arte sociale ha reso auspicabile il ritorno al mecenatismo illuminato rinascimentale rappresentato dai Medici, dai Papi e da re, che commissionavano opere, risultate poi immortali.
Le scene rappresentate sulle pareti delle chiese trasmettevano ai fedeli i concetti sacri e rappresentavano l’unico supporto comunicativo dell’epoca.
Le piazze con architetture spettacolari, palazzi con facciate ed interni unici celebravano la grandezza delle città e delle signorie che le governavano.
Questa caratteristica e ricchezza prettamente italiana di arte aperta era da un lato usata come strumento politico-religioso di controllo delle masse, ma dall’altro arricchiva e illuminava le coscienze.
Volendo seguire questo filone di art-filosofia sociale si può tracciare un percorso ideale che va da “Da Caravaggio a Bansky”.
Caravaggio quale simbolo e rappresentante degli artisti e geni finanziati da personaggi illuminati che hanno trasmesso il concetto di “arte sociale”.
Bansky invece quale simbolo della continuazione della scelta sociale dell’arte post-pandemia. Egli finanzia un’opera e la dona ad un ospedale inglese.
Quest’opera e il suo concetto ispiratore è inquadrabile nel movimento della street art, e per sua natura godibile dall’intera popolazione senza distinzioni sociali ed economiche.
In ultima analisi, quindi, a ben guardare, scorporando il fine politico-sociologico e utilitaristico rappresentato a suo tempo dal mecenatismo dei Medici, dei papi e dei re, oggi l’arte rinascimentale potrebbe, a pieno titolo rientrare nella “street art” universalmente godibile.
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