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Composizione negoziata e proroga dell’incarico
In materia di composizione negoziata merita un approfondimento specifico l’esame del comma 7 dell’art. 17 CCII a mente del quale “1. L’incarico può proseguire per non oltre centottanta giorni quando tutte le parti lo richiedono e l’esperto vi acconsente, oppure quando la prosecuzione dell’incarico è resa necessaria dal ricorso dell’imprenditore al tribunale ai sensi degli articoli 19 e 22.”. Stante la distinzione che intercorre tra le due diverse fattispecie (si veda “Due ipotesi di proroga dell’incarico dell’esperto nella composizione negoziata” del 13.01.2024), vale, in questa sede soffermarsi sul primo capoverso dell’articolo in commento dovendo giungere a definire il concetto di “parti” e, conseguentemente, il perimetro interpretativo della “totalità delle parti” richiedenti.
La norma di cui al D.Lgs. 14/2019 omette ogni preciso riferimento in ordine a detta locuzione, lasciando all’interprete una lettura più o meno ampliata che resta, per vero, condizionata dalla necessità di interpretare il profilo totalitario, con la conseguenza di imporre un’analisi invertita. Pensare di poter ottenere un consenso unanime riferito a tutti i soggetti interessati alla negoziazione significa, con buona probabilità, frustrare la stessa essenza della norma, a meno di non voler pensare che l’istituto della proroga oltre i 180 giorni sia condizione talmente speciale da richiedere il rafforzamento di detto parametro, anche oltre misura.
Se questo è il quadro di riferimento, in una accezione più ampia e limitando per semplicità l’indagine ai soli creditori, è possibile far rientrare nel concetto di “tutte le parti”, intese come posizioni meritevoli di considerazione e di esame, sicuramente quelle che hanno partecipato alle trattative e che manifestano un atteggiamento proattivo; lasciando fuori dal perimetro quei creditori che, invece, hanno espressamente manifestato il loro definitivo dissenso, dichiarandosi “estranei” alle trattative e quelli che hanno assunto un atteggiamento di totale disinteresse, non rispondendo alle sollecitazione della negoziazione. Ad ampliare tale dicotomia vi sarebbe da qualificare il ruolo dei restanti soggetti che, pur avendo partecipato agli incontri, assumono un comportamento “attendista”, senza prendere concreta posizione. La caratterizzazione di cui sopra ha, però, un senso rispetto al tema indagato nella misura in cui si “pesi” il valore delle parti, attribuendo dignità all’ammontare del credito ed alle eventuali posizioni dominanti, ricalibrando i rapporti tra “interessati”, “disinteressati”, “dissenzienti” ed “incerti” sulla base del rispettivo peso specifico da commisurarsi, tra l’altro, allo strumento di exit individuato.
Ciò posto, non convince la tesi, pure sostenuta in giurisprudenza, ma troppo semplicistica, che le parti siano “i partecipanti alle trattative” (Tribunale di Palermo 22.07.2022); così come non convince la posizione di coloro che ritengono rilevanti le parti con il credito, in assoluto, più elevato, riferendosi alle diverse categorie di creditori. Interessante, invece, seppur con un concetto da ampliare, è l’interpretazione offerta da altra giurisprudenza di merito (Tribunale di Bologna 30.01.2024) secondo la quale l’espressione “tutte le parti” va “più correttamente riferita ai creditori con i quali le trattative sono ancora in corso, per i quali ha ancora rilievo la prosecuzione dell’incarico dell’esperto al fine di verificare la possibilità di concludere favorevolmente il percorso di risanamento intrapreso dal debitore”.
Cosicché ritenuto “irrilevante il consenso sia di coloro con i quali il debitore abbia già raggiunto un accordo, sia dei creditori che abbiano già definitivamente espresso la volontà di non aderire ad alcuna ipotesi di risoluzione negoziale della crisi”, ciò che conta è valorizzare tutte le residue posizioni – dando rilievo soprattutto ai creditori che hanno partecipato alle trattative ma non hanno voluto manifestare alcuna intenzione, né tantomeno richiedere espressamente la proroga- per verificare se, secondo il prudente apprezzamento dell’esperto, l’exit individuato dal debitore sia ancora ragionevolmente perseguibile, operando una “prova di resistenza” che, a parità di adesioni e dissensi espressi, valuti la tenuta dell’accordo in caso di astratta adesione dei creditori “incerti”, id est sia quelli che hanno richiesto la proroga, sia anche quelli rimasti silenti, ma non definitivamente dissenzienti.
Così ricostruito il sistema, va da sé che diventa rilevante ai fini che qui interessano non tanto la manifestata ed espressa volontà di proroga (che per vero, pure rafforza la convinzione della attendibilità della proposta del debitore), quanto piuttosto il “mancato espresso dissenso” dei partecipanti alle trattative, potendo ritenere che la proroga serva proprio per “recuperare” l’adesione degli “incerti”. In tal senso la norma andrebbe interpretata cum grano salis ritenendo che debbano essere contemporaneamente presenti un “interesse”, corrispondente ad una manifestata volontà di proroga seppur solo di alcuni soggetti (meglio se di elevato importo), ed una astratta “possibilità”, corrispondente alla valutazione di buon esito del risanamento in caso di adesione dei creditori ancora incerti.
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