Il presente articolo andrà a sinterizzare il decreto emanato dal Ministero della Giustizia (nella GU Serie…
DETRAZIONE IVA su fattura non pagata
Con Risposta a interpello n. 175 del 6 aprile 2022 l’Agenzia delle Entrate fornisce interessanti chiarimenti in tema di IVA su una fattura non pagata, ma contestata.
Il presente intervento vuole riepilogare l’interpello facendo il punto sulla delicata questione.
Punto di partenza
L’Istante è un coltivatore diretto che ha avviato la costruzione di vasche e silos insistenti su un terreno di proprietà al 100% del padre.
I lavori di costruzione sono stati eseguiti negli anni 2012, 2013 e 2014 e in tali anni l’impresa costruttrice ha emesso regolari fatture che sono state tutte pagate, tranne l’ultima fattura a saldo, emessa nel 2014. Quest’ultima fattura è stata contestata dal contribuente e non pagata poiché il lavoro non è stato terminato, causando l’impossibilità di utilizzo delle vasche e dei silos. Dopo aver presentato nel 2016 un’istanza per accertamento tecnico preventivo presso il Tribunale per appurarne i difetti, l’istante precisa che nel frattempo è intervenuto il fallimento della società costruttrice, con conseguente cessazione della partita IVA.
L’Istante rappresenta che l’IVA a credito relativa alla fattura non saldata è stata detratta al momento della registrazione del documento fiscale, ma non è stata utilizzata in compensazione e non è stata richiesta a rimborso. Il fornitore avrebbe dovuto emettere nota di credito a storno totale della fattura a saldo per il lavoro non terminato, ma detta nota di credito non è mai stata emessa.
In seguito, il padre dell’Istante, proprietario del terreno, è deceduto. Al riguardo, l’Istante evidenzia che le spese di costruzione dell’impianto biodigestore sono state tutte sostenute in proprio con partita IVA, ma poiché tale costruzione (accatastata come D/10 solamente nel 2018) insiste su un terreno di proprietà interamente del padre, anche essa è entrata in successione) e l’Istante ne ha ereditato solo una quota dell’immobile.
Ad ottobre 2021, infine, l’Istante e gli altri eredi hanno venduto alcuni terreni, tra cui quello su cui insiste la costruzione in oggetto ad un’impresa agricola, con atto nel quale l’Istante medesimo compare in atto come privato (senza partita IVA).
Quesito
L’Istante chiede chiarimenti in merito alla sorte dell’IVA detratta relativamente alla fattura non saldata perché riferita ai lavori di costruzione dell’impianto in esame contestati al prestatore.
Chiede, inoltre, se per il passaggio di proprietà dell’impianto in esame agli eredi del proprietario del fondo (genitore dell’istante) possa emettere una fattura retrodatata.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Sull’IVA a credito relativa alla fattura a saldo non pagata l’Istante ritiene di avere correttamente detratto l’IVA al momento del ricevimento e della registrazione del documento fiscale (ai sensi dell’art. 19 DPR. 633/72.
L’Istante precisa, inoltre, che nonostante l’IVA sia stata portata in detrazione, non si sono prodotti benefici poiché l’importo di tale IVA a credito non è stato mai utilizzato in compensazione e/o richiesto a rimborso e risulta ancora disponibile e stornabile senza l’applicazione di sanzioni per indebito utilizzo dello stesso.
Al riguardo, l’Istante ritiene di dover procedere a rettificare l’IVA a credito detratta sulla fattura ricevuta nel 2014 (e contestata) e mai stornata da relativa nota di credito poiché non emessa dall’impresa costruttrice che ha cessato la posizione IVA per intervenuto fallimento.
L’Istante ritiene di dovere emettere autofattura ai sensi dell’art. 17, comma 2, DPR IVA che riporti come imponibile e come importo IVA gli stessi valori indicati nella fattura d’acquisto del 2014, in modo da poter rettificare l’IVA detratta. L’Istante ritiene, inoltre, che l’autofattura debba riportare come data di emissione il 17 agosto 2021, ovvero la data di cessazione della partita IVA da parte del fornitore, poiché è a partire da tale data che si ha certezza che non potrà più essere emessa nota di credito a storno totale della fattura da parte dell’impresa costruttrice.
Riguardo, invece, alla cessione dell’impianto biodigestore avvenuta ad ottobre 2021 in seguito alla vendita di alcuni terreni di proprietà della famiglia, tra cui quello su cui insiste l’immobile oggetto di interpello, l’Istante, che compare in atto come privato, ritiene di dover emettere fattura di vendita ai sensi dell’art. 21 del DPR IVA per cedere l’impianto Biogas agli altri eredi e a sé stesso come contribuente privato e procedere, in tal modo, all’alienazione e allo storno del bene strumentale rilevato tra le immobilizzazioni come titolare di Partita IVA (in quanto ha interamente sostenuto il costo per la realizzazione dell’immobile).
L’Istante ritiene che la fattura di vendita da emettere a sé stesso debba riportare imponibile pari a zero e di conseguenza IVA a zero poiché l’impianto non è stato ultimato ed è tutt’ora inutilizzabile allo stato di fatto. Pertanto, a parere dell’Istante, la fattura di cessione riporterà come data di emissione una data compresa tra il 17 agosto 2021 ovvero la data di emissione dell’autofattura e il 12 ottobre 2021 cioè la data dell’atto di cessione del terreno su cui insiste l’impianto.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Con riferimento al primo quesito prospettato, relativo all’IVA a credito sulla fattura a saldo non pagata per la realizzazione dell’impianto biodigestore, si fa presente che l’articolo 26, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA), prevede che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25″.
La variazione in diminuzione costituisce, dunque, una facoltà del cedente/prestatore, alla quale lo stesso può rinunciare (si veda, in questo senso, anche di recente, la circolare n. 20/E del 29 dicembre 2021) e non un obbligo in assenza del cui adempimento il cessionario/committente deve procedere – come ipotizzato dall’Istante – ai sensi degli articoli 17, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 (procedura peraltro riservata alle operazioni “effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti”) e 6, comma 8, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (c.d. “autofattura denuncia”) o tramite altra forma di “auto-fatturazione”.
La soluzione interpretativa ipotizzata dall’Istante (i.e. emissione di autofattura ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del decreto IVA) a fronte dell’inerzia del prestatore, non risulta, quindi, condivisibile.
Il mancato pagamento della fattura, infatti, non incide di per sé sui principi generali dettati dal DPR. IVA per l’esercizio del diritto alla detrazione.
In merito al secondo quesito, relativo al passaggio di proprietà dell’impianto in esame, l’Agenzia delle Entrate ritiene che non sia possibile procedere con l’emissione di una fattura retrodatata per documentare la cessione dello stesso agli eredi del proprietario del fondo (genitore dell’Istante, deceduto nell’ottobre 2017).
L’Agenzia richiama l’art. 1593 del Codice civile, rubricato “Addizioni”, che al comma 1 stabilisce che “Il conduttore che ha eseguito addizioni sulla cosa locata ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In tal caso questi deve pagare al conduttore una indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna“.
Sul punto, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2501 del 4 febbraio 2013 ha stabilito che “In tema di locazione, gli incrementi del bene locato, in applicazione del principio generale dell’accessione, divengono di proprietà del locatore, proprietario della cosa locata, pur con le specifiche modalità dettate dall’art. 1593 cod. civ., rimanendo, tuttavia, in facoltà delle parti di prevedere apposita clausola derogatrice volta ad escludere che il bene immobilizzato nel suolo sia ritenuto dal proprietario di quest’ultimo; in presenza di tale accordo, pertanto, il contratto di locazione, per tutta la sua durata, costituisce titolo idoneo a impedire l’accessione, configurandosi il diritto del conduttore sul bene costruito come diritto non reale, che si estingue con il venir meno del contratto stesso e con il riespandersi del principio dell’accessione“.
Poiché le disposizioni di cui al predetto art. 1593 c.c. fanno riferimento alla ” fine della locazione”, si ritiene che le stesse abbiano trovato applicazione alla predetta data del 12 ottobre 2021, nella quale si è “riespanso” il principio di accessione secondo le regole dettate dal codice civile; a tale data, quindi, le “addizioni”, non “rimosse” dal conduttore, come emerge dal citato contratto di compravendita, sono divenute di proprietà del locatore (nella specie degli eredi, divenuti nel frattempo titolari mortis causa del fondo) in quanto proprietario della cosa locata, poi cedute unitamente ai terreni medesimi.
A tale data, quindi, gli eredi avrebbero dovuto corrispondere l’indennità di cui al predetto articolo del codice civile e l’Istante, quale titolare di partita IVA, avrebbe dovuto emettere regolare fattura nei confronti degli stessi.
Tale omissione, sanzionata ai sensi dell’articolo 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, può essere sanatada parte dell’Istante mediante il ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 d.lgs. 18 dicembre 1971, n. 472.
Con riferimento alla base imponibile, in assenza del riconoscimento dell’indennità per le addizioni, si ritiene che trovi applicazione l’art. 13, comma 2, lettera c) del d.P.R. n. 633 del 1972 secondo cui “per le cessioni indicate ai numeri 4), 5) e 6) del secondo comma dell’articolo 2, dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni; per le prestazioni di servizi di cui al primo e al secondo periodo del terzo comma dell’articolo 3, nonché per quelle di cui al terzo periodo del sesto comma dell’articolo 6, dalle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi“.
Da ultimo, si fa presente che a fronte di tale cessione, alla luce dell’affermato accatastamento dello stesso bene nella categoria D/10 “Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole” avvenuto nel 2018, potrebbe trovare applicazione la disposizione di cui all’articolo 19-bis2 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Quest’ultima disposizione prevede al comma 8, che “Agli effetti del presente articolo i fabbricati o porzioni di fabbricati sono comunque considerati beni ammortizzabili ed il periodo di rettifica è stabilito in dieci anni, decorrenti da quello di acquisto o di ultimazione“.
Per tali beni, il comma 6 dello stesso articolo 19-bis2 prevede che in caso di cessione durante il periodo di rettifica, “la rettifica della detrazione va operata in unica soluzione per gli anni mancanti al compimento del periodo di rettifica, considerando a tal fine la percentuale di detrazione pari al cento per cento se la cessione è soggetta ad imposta, ma l’ammontare dell’imposta detraibile non può eccedere quello dell’imposta relativa alla cessione del bene”.
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