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Facebook: le offese a persone individuate o individuabili integrano il reato di diffamazione
La diffamazione a mezzo internet senza indicazione del nome è reato purchÊ tali espressioni offensive siano associabili ad determinato soggetto e/o a un gruppo di persone.
Per la configurazione del reato di diffamazione a mezzo Facebook non è richiesta la presenza di dolo specifico, ma è sufficiente un frase lesiva della reputazione del soggetto destinatario dellâoffesa, anche senza lâindicazione del nome di questâultimo, poichĂŠ la riferibilitĂ soggettiva del commento o della dichiarazione può desumersi anche da circostanze pregresse, quali rapporti lavorativi tempestosi o separazioni; determinante è in ogni caso la correlazione tra il commento incriminato e lâautore.
La Cassazione Penale, Quinta Sezione, con la sentenza n. 14345 dellâ8.04.2024, ha statuito che sussiste il reato di diffamazione qualora la vittima di espressioni offensive operate attraverso il social network âFacebookâ sia individuata o individuabile, imprescindibilmente dallâindicazione del nome di quest’ultima.
Lâattuale diffusione dei social network – quale luogo virtuale di comunicazione tra persone non presenti – e soprattutto il loro uso inappropriato, ha visto unâesponenziale crescita di reati, tra i quali il reato di diffamazione ai sensi dellâart 595 c.p..
Diffamare significa innanzitutto offendere lâaltrui reputazione; in particolare, sotto il profilo giuridico sussiste il reato di diffamazione in tutti i casi di dichiarazioni o commenti che un soggetto rivolge ad altra persona al solo fine di pregiudicare lâopinione di cui lo stesso gode nella collettivitĂ .
Presupposto implicito del reato di diffamazione è la diffusione  di unâespressione offensiva ed  ingiuriosa nei confronti di una persona fisicamente non presente. Tale contenuto offensivo deve essere rivolto a piĂš persone, da qui la differenziazione della diffamazione dallâingiuria, reato questâultimo, peraltro, depenalizzato che, viceversa, è unâoffesa allâonore o al decoro di una persona presente ai sensi dellâart. 594 c.p.. Con la diffamazione si offende la reputazione altrui senza la presenza della persona interessata, la quale proprio per tale ragione non può difendersi rispetto al contenuto dellâespressione diffamatoria e quella perpetrata attraverso i social network risulta amplificata riuscendo a raggiungere un numero indeterminato di soggetti con la conseguenza di aggravare sensibilmente il fatto non solo dal punto vista sociale, ma anche sotto il profilo giuridico.
Nella giurisprudenza della Suprema Corte è ormai indirizzo consolidato che in materia di diffamazione a mezzo Facebook, la comunicazione di contenuti lesivi dellâaltrui reputazione mediante un post recante espressioni offensive e pubblicato su Facebook, potendo essere visualizzato da tutti coloro che hanno accesso al profilo, configura una ipotesi di diffamazione aggravata ex art. 595, c.p., terzo comma, sotto il profilo dell’offesa arrecata con qualsiasi altro mezzo di pubblicitĂ , diverso dalla stampa, proprio poichĂŠ la condotta lesiva in tal modo concretizzata è âpotenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di personeâ.
Orbene, la ratio di tale assunto risiede nella considerazione che la pubblicazione di un post offensivo attraverso lâuso della bacheca di Facebook, può raggiungere un numero indefinito di utenti a prescindere dal fatto che tra questi vi sia o meno il destinatario delle espressioni diffamatorie (Cass. Pen., Sez. V, 25 gennaio 2021, n. 13979). Sulla stessa linea una recente sentenza della Corte di Cassazione, rafforzando il precedente orientamento giurisprudenziale, asserisce che un post offensivo rientra nellâambito di applicazione della fattispecie prevista dallâart. 595, c.p., terzo comma, anche quando lâautore di esso non indichi il nome della persona offesa, comunque, ai fini della sussistenza del reato si richiede che âil soggetto passivo di esso sia in ogni caso individuabile, anche solo allâinterno di una cerchia ristretta di personeâ (Cassazione Penale, Sez. V, 25 marzo 2022, n. 10762).
Anche per il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità la diffamazione commessa nel mondo virtuale deve  essere valutata come gravemente pregiudizievole per il bene giuridico della reputazione, al pari di quella aggravata in quanto commessa a mezzo stampa.
Il reato di diffamazione a mezzo internet rileva non solo in sede penale, ma anche in sede civile, rappresentando siffatto comportamento un fatto illecito lesivo di un diritto della personalitĂ .
La persona danneggiata può avviare la procedura per bloccare il presunto colpevole e il profilo del cyber-stalker attraverso una segnalazione a Facebook rappresentando il disagio e il turbamento psichico subito a cause delle suddette molestie. Successivamente può sporgere querela indicando il post diffamatorio dal quale deve evincersi, in ogni caso, la correlazione con il soggetto leso anche se nello stesso non è indicato il nome essendo sufficiente la presenza di riferimenti precisi alla sua identitĂ per renderla individuabile. Per procedere in sede penale è comunque essenziale accertarsi dellâindirizzo IP del presunto autore del post diffamatorio, in quanto il reato si origina nel momento in cui può essere collegato ad un concreto indirizzo IP, non essendo sufficiente la presenza di meri indizi, ma la necessitĂ di una prova chiara ed incontestabile.
Nellâipotesi di utilizzo di un profilo falso, la Polizia Postale ed i consulenti informatici nominati dal Giudice possono risalire allâautore del reato, attraverso una richiesta a Facebook finalizzata al recupero, attraverso il server, dellâindirizzo IP utilizzato dallâautore del post diffamatorio.
Diverse le sentenze di condanna in materia di reato di diffamazione a mezzo internet, tra queste: la sentenza n. 22787 del 2021, resa dalla Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di diffamazione a mezzo Facebook, premesso che tale reato si consuma nel momento in cui la frase offensiva è percepita allâesterno,  ha statuito che il dies a quo  (termine iniziale) per la decorrenza del termine per proporre querela âcoincide con la data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui il messaggio diffamatorio è pubblicato su internetâ, salvo che lâinteressato fornisca prova contraria circa il diverso momento in cui è effettivamente venuto a conoscenza dellâoffesa.
Altre pronunce sono unanimi nel considerare lâoffesa a mezzo Facebook una fattispecie di diffamazione con lâaggravante del comma 3 dellâart. 595 c.p., in particolare, una sentenza emessa nel 2019 dal Tribunale di Bologna ha stabilito che la diffamazione a mezzo internet costituisce unâipotesi aggravata, proprio a causa del mezzo che ne potenzia la diffusione e la velocitĂ con cui viene diffusa. La gravitĂ rileva ânella potenzialitĂ , nella idoneitĂ e nella capacitĂ del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralitĂ di persone (…) con ciò cagionando un maggiore e piĂš diffuso danno alla persona offesaâ. Il meccanismo delle amicizie âa catenaâ di Facebook permette la diffusione del messaggio o del commento ad un numero indeterminato di persone e, pertanto, amplifica lâoffesa in ambiti sociali allargati e concentrici.
Ancora, per la pronuncia della Cassazione Penale, Sez. V, n. 3809 del 2018, essendo il reato di diffamazione configurabile in presenza di una offesa alla reputazione di una persona determinata, esso può ritenersi sussistente nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni offensive riferite a soggetti individuati o individuabili.
Gli stessi ermellini con recenti pronunce hanno confermato che la diffamazione a mezzo internet costituisce una fattispecie aggravata per la quale è prevista la reclusione fino a tre anni e la possibilitĂ per la parte lesa, conclusa lâazione penale, di agire in sede civile per il risarcimento del danno subito.
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