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Il credito “fondiario” nella nuova liquidazione giudiziale
Nel novero dei crediti che devono necessariamente trovare collocazione all’interno della verifica dello stato passivo nella procedura di liquidazione giudiziale (un tempo il “fallimento”) assumono rilevanza quelli assistiti dal c.d. “privilegio fondiario”, il quale determina, come noto, la possibilità per gli Istituti di credito di conseguire il risultato dell’assegnazione anticipata, quand’anche a titolo solo provvisorio, della somma ricavata dalla vendita operata in sede esecutiva individuale. Attribuzione che, calata nel contesto del fallimento, si risolveva in un mero “privilegio processuale” senza dispone alcuna deroga alla regola della par condicio creditorum, solo consentendo un’attribuzione anticipata delle somme.
Nel previgente sistema la chiave di lettura si rinveniva nel combinato disposto degli artt. 51 RD 267/42, a mente del quale “Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento”, e 41 D. Lgs. 385/93 che espressamente richiamava, e tutt’ora richiama, al comma 2, la possibilità che “L’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore”. Il tutto ricompattato grazie anche all’ultimo inciso dell’art. 107 comma 6, che faceva “salvi i casi di deroga di cui all’articolo 51”.
L’approdo sicuro che si rinviene dal testo della norma fallimentare riceve una decisa “spallata” dal riformato Codice della Crisi, che trova radici nella Legge Delega.
Già l’art. 7 comma 4 lettera a) della L.155/2017 aveva previsto un progressivo abbandono del “credito fondiario” raccomandando al Legislatore Delegato di potenziare la liquidazione giudiziale mediante l’adozione di misure volte, tra l’altro, ad “escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari” ed a “prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1”.
Sicché, la mancata inclusione, nel comma 10 dell’art. 216 CCI, del richiamo all’attuale art. 150 (già art. 51 L.Fall.), apre la strada ad un’interpretazione abrogativa, rafforzata anche dalla mancata modifica dell’art. 41 TUB, non toccato nonostante l’intervento invasivo sulle norme bancarie attuato con l’art. 369 CCI. Ciò lascerebbe pensare ad un intervento progressivo con residua applicazione del “privilegio fondiario” alle sole procedure aperte fino al 15 luglio 2023 (che, come noto, continueranno ad essere gestite secondo le previgenti regole del R.D. 267/42).
Tale ricostruzione trova ora fondamento in una prima pronuncia di merito (Tribunale di Ancona del 22.06.2023) che statuisce l’inapplicabilità della disciplina del credito fondiario nella liquidazione giudiziale, valorizzando, in particolare, il contenuto dell’art. 369 CCI. Disposizione, quest’ultima, che è intervenuta per “armonizzare il TUB alla luce della riforma sulla crisi d’impresa, lasciando il termine “fallimento” nel solo art. 41 TUB, il che è inequivocabile espressione della volontà legislativa di escludere l’operatività del privilegio processuale previsto da tale norma a procedure diverse dal fallimento”. E tale soluzione troverebbe conforto nel “venir meno della ratio sottesa all’art. 41 TUB, ovvero la più celere realizzazione del credito fondiario nel caso di fallimento del debitore”, considerato che la riforma ha imposto una notevole accelerazione delle procedure di vendita concorsuale.
Osserva in proposito, ed in maniera assolutamente condivisibile, il Tribunale che “Il credito fondiario può essere soddisfatto nell’ambito della liquidazione giudiziale con tempistiche non superiori a quelle che caratterizzano le procedure esecutive individuali, per cui non vi è motivo, una volta aperta la liquidazione giudiziale, che la banca incassi le rendite degli immobili ipotecati a suo favore ex art. 41, comma 3, TUB, ovvero continui a beneficiare ai sensi dell’art. 41, comma 4, TUB del versamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario/assegnatario dei beni in via anticipata rispetto al progetto di distribuzione delle somme realizzate”.
Non constano, al momento, pronunce di diversa portata che attengano alle procedure di liquidazione giudiziale. Tuttavia, si annota un contrario orientamento, seppur non del tutto meditato, che si desume, per derivata, da vicende analizzate in relazione alla procedura minore della liquidazione controllata. In tal senso il Tribunale di Verona (provv. 20.12.2022), chiamato a pronunciarsi sulla clausola di compatibilità, ha osservato che la disposizione del privilegio fondiario “debba trovare applicazione soltanto alla liquidazione giudiziale in quanto l’art. 41 T.U.B. disciplina l’operatività del privilegio fondiario soltanto limitatamente al “fallimento” (la sola procedura concorsuale menzionata dalla disposizione) oggi sostituito dalla “liquidazione giudiziale” (vedi art. 2 legge 19 ottobre 2017, n. 155) e non anche rispetto ad altre procedure concorsuali”.
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