Quando parliamo di sostenibilità, spesso la associamo alla tutela dell’ambiente o a una crescita economica equa…
“Il mio giardino è l’opera d’arte più bella che io abbia creato”. Claude Monet.
Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) nella seconda metà dell’Ottocento gettò le basi per la nascita del movimento impressionista di cui viene considerato il padre fondatore. Il fotografo Nadar, nel 1874, organizzò la prima mostra impressionista a Parigi. Il movimento prende il proprio nome dall’opera Impression: soleil levant (1872) e dà il nome al movimento artistico dell’impressionismo. La tecnica impressionista si basava sull’osservazione diretta (en plein air) che, al fine di restituire in modo autentico la brillantezza dei colori, prevedeva di realizzare le opere direttamente sul posto. Gli impressionisti si distinsero per l’abitudine di condurre studi sulla percezione del colore perché si accorsero che le ombre non erano semplici macchie scure, ma anzi avevano la capacità di riflettere i colori degli oggetti. Attraverso le loro ricerche sulla percezione ottica, accostando ombre e giochi di luce, questi artisti riescono ad ottenere il risultato di fissare sulla tela un momento preciso reso eterno dalla mano dell’artista.
Secondo il critico dell’arte tedesco Hans Belting, l’impressionismo era un movimento di rottura rispetto alla situazione artistica contemporanea, mentre per l’irlandese Brian O’Doherty era un movimento destinato ad esaurirsi. Monet, massimo esponente del movimento, si dilettò particolarmente nel ritrarre paesaggi, fiori e strutture architettoniche osservate in momenti diversi della giornata da punti di vista diversi e con luci differenti. Nel 1886 fu organizzata l’ultima esposizione collettiva del movimento impressionista in seguito alla quale Monet si dedicò ad un nuovo progetto artistico. Tale progetto consisteva nel raffigurare in serie lo stesso soggetto per evidenziare le variazioni cromatiche causate dalla luce. Tra queste, la serie più famosa è quella che ritrae la cattedrale gotica di Rouen a cui Monet dedicò ben trenta tele raffigurandone il portale e parte della torre in diverse condizioni metereologiche: in pieno sole per mettere in evidenza i toni del giallo sulla facciata, al tramonto per evidenziarne le sfumature rossastre, etc. In seguito realizzò delle serie dedicate ai covoni di paglia e ai pioppi ma, il ciclo più famoso è quello delle ninfee, a cui Monet cominciò a lavorare dal 1899. Con il trascorrere del tempo l’amore per la natura divenne sempre più forte tanto da indurre Monet a creare uno splendido giardino a Giverny, in Normandia. Fu proprio il giardino a ispirare molte opere con le sue piante e gli alberi disseminati sulle sponde del lago attorniato da salici piangenti (simbolo di immortalità, spiritualità ed eternità nella cultura orientale), bambù e peonie. L’elemento più esotico e caratteristico del giardino di Monet era il celebre ponte giapponese: esso fu reso immortale dagli oli su tela che raffigurano i cambiamenti della natura e della luce nelle diverse ore del giorno. Tuttavia la vera ossessione di Monet furono le ninfee, basti pensare che ad esse dedicò duecentocinquanta piccole tele e un progetto pittorico che si concretizzò nella realizzazione di quattro tele di (circa 4 metri x 2) con cui foderò tutta la stanza in cui si chiuse a dipingere “un panorama fatto d’acqua e di ninfee, di luce e di cielo”.
Monet visse e lavorò a Giverny dal 1883 fino alla morte che sopraggiunse il 5 dicembre del 1926, dopo lunghi anni di malattia. Nel corso degli anni il pittore, pur essendo ormai quasi del tutto cieco e gravemente ammalato di cancro, continuò ininterrottamente a dipingere le sue amate ninfee. Fu alla fine della prima guerra mondiale che Monet decise che alla sua morte la villa di Giverny sarebbe stata lasciata in eredità allo stato francese.
Oggi le Nymphéas sono custodite nelle sale del Musée Marmottan di Parigi insieme ad altri capolavori. Dalla collaborazione tra il Museo Marmottan e l’Amministrazione comunale di Genova nasce la mostra “Monet” un percorso espositivo che comprende cinquanta opere dell’artista francese alcune delle quali esposte per la prima volta perché in prestito da privati. La mostra in programma dall’11 febbraio al 22 maggio, nella Sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, racconta la vicenda artistica di Monet attraverso le opere a cui teneva di più. Il percorso espositivo è stato suddiviso in sette sezioni ciascuna delle quali è dedicata ad una fase della vita e della produzione artistica del Maestro.
La prima sezione si chiama “Le origini del Musée Marmottan Monet: dall’Impero all’Impressionismo” ed illustra due visioni della pittura apparentemente lontane ma non per questo inconciliabili: da un lato possiamo ammirare un ritratto di Robert Levre e un paesaggio di Jean-Victor Bertin dalla collezione Marmottan; dall’altro invece un ritratto di Monet e due tele in cui l’artista ritrae il figlio Michel.
La seconda sezione è dedicata alla pittura en plein air una pratica artistica che Monet conobbe grazie a Johan Barthold Jongkind (1819-1891) e Eugène Boudin (1824- 1898): dopo questa prima esperienza l’artista cominciò a viaggiare in Francia e all’estero, alla ricerca della luce perfetta. In questa sezione sono esposti soprattutto paesaggi marini e campestri nonché scene di vita familiare.
La terza sezione è “La luce impressionista”. Monet con la scelta di dipingere all’aria aperta cambiò definitivamente il mondo dell’arte creando un nuovo stile e genere. La conseguenza di tale scelta fu quella di trasferirsi in Normandia (nella regione della Creuse) per potersi immergere completamente in un ambiente naturale ancora incontaminato e selvaggio.
La quarta sezione della mostra si chiama “Da Londra al giardino: nuove prospettive” ed è dedicata ai paesaggi fumosi e spettrali di Londra e del Tamigi. La nebbia fitta e densa che avvolge le case e i monumenti fu per Monet un laboratorio di sperimentazione artistica perché gli consentiva di approfondire gli studi relativi alle variazioni cromatiche. In questi anni Monet si avvicina ad un nuovo modo di rapportarsi con lo spazio superando di fatto l’Impressionismo.
La quinta sezione si chiama “Le grandi decorazioni”: Monet amò le tele di grandi dimensioni realizzando ben 125 pannelli, che hanno come soggetto il giardino di Giverny. Una parte di quelle opere nota come le “Ninfee dell’Orangerie” fu offerta dal pittore allo Stato francese. In questi dipinti Monet prende per mano l’osservatore facendogli compiere una vera e propria esperienza contemplativa. Porta a termine, così, le ricerche iniziate nel 1903 che lo conducono alla realizzazione di paesaggi senza inizio né fine.
La sesta sezione si chiama “Monet e l’astrazione”. In questa sezione sono esposte le opere realizzate da a partire dal 1908, da quando Monet si ammalò di cataratta e non poteva più percepire in modo perfetto il colore; da quel momento in poi la sua pittura cambiò. Il movimento subentrò alla forma e al colore, gli schizzi subentrarono al disegno.
La settima sezione si chiama “Le rose” ed è dedicata ai fiori e alla loro fragile bellezza che ha accompagnato e contraddistinto tutta la vita di Monet: basti pensare che a 85 anni dipinse una serie dedicata alle rose nella quale espresse in maniera sublime il senso di caducità intrinseco a tutto ciò che ci circonda. Ciò che rende speciale il dipinto infatti è proprio l’incompiutezza della tela che comunica il senso di fragilità e leggerezza tipica di questo fiore.
La mostra genovese è dunque un evento imperdibile, che non solo consente di conoscere il mondo interiore di Monet, ma è anche un’occasione straordinaria per ammirare opere eccezionali. Il Musèe Marmottan in questo modo ha voluto omaggiare l’Italia e in particolare alla città di Genova dove Monet si recò all’incirca 140 anni fa per scoprire e ricreare sulla tela una luce diversa e speciale: una luce che solo le città di mare sanno offrire.
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