Quando parliamo di sostenibilità, spesso la associamo alla tutela dell’ambiente o a una crescita economica equa…
Il rapporto tra le misure protettive e la relazione dell’esperto
La composizione negoziata, che trova cittadinanza al di fuori del perimetro giudiziale, prevede una fase incidentale, solo eventuale, di verifica demandata al Tribunale quando l’imprenditore decida di avvalersi delle misure protettive previste espressamente all’art. 18 del D. Lgs. 14/2019.
Il meccanismo, che ricalca quello delle più note misure di protezione adottabili in sede concorsuale, dispone che dalla pubblicazione dell’istanza e dall’accettazione dell’esperto nel Registro delle imprese operi il divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore, e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari; prevedendo, in ogni caso, la possibilità di pagamenti spontanei (con ciò confermando la natura negoziale dell’istituto) e stabilendo l’esclusione dalle misure protettive dei diritti di credito dei lavoratori, in ottemperanza piena alla Direttiva UE 2019/1023.
Sicché, laddove l’imprenditore abbia necessità di ottenere la “protezione” dell’organo giudiziario, è fuor di dubbio che debba soggiacere alle regole da quest’ultimo imposte; su tale aspetto, ed in particolare, sul perimetro dell’intervento giudiziale, cominciano a formarsi orientamenti più o meno rigorosi che pare opportuno in questa sede indagare, meritando sicuro interesse l’analisi di un recente provvedimento di merito (Tribunale di Salerno R.G.269 /2023 del 13 febbraio 2023) che valorizza, ai fini della decisione assunta, lo stato dell’azienda e l’adeguatezza delle informazioni fornite dall’esperto, giungendo al rigetto delle invocate misure.
Il Tribunale, all’esito di un rigoroso ragionamento, si determina al rigetto delle misure protettive richieste ex art. 18 D. Lgs. 14/2019, e vi approda dando atto, preliminarmente, di discostarsi dai primi orientamenti formatisi, ritenendo non condivisibile né “l’affermazione secondo cui il Tribunale deve confermare le misure protettive quando, pur ritenendo il raggiungimento del risanamento di impervia realizzazione, l’alternativa liquidatoria riuscirebbe a soddisfare in minima parte le aspettative dei creditori (Trib. Bologna, 08/11/2022)” e neppure l’altra tesi “secondo cui il giudizio del Tribunale in questo ambito dovrebbe essere unicamente rivolto a verificare che il risanamento non appaia un obiettivo manifestamente implausibile in ragione della palese inettitudine del progetto di piano di risanamento imbastito dall’imprenditore (così Trib. di Modena 03/12/2022)”.
Ciò in quanto “la prognosi di “manifesta inettitudine” risulta applicabile oramai esclusivamente agli strumenti di regolazione delle crisi e dell’insolvenza di tipo liquidatorio (arg. ex art. 112, comma 1, lett. g) e non agli strumenti orientati alla continuità aziendale, rispetto ai quali il Tribunale deve appurare che “il piano non sia privo [bensì dotato] di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza” (arg. ex art.112, comma 1, lett. f)”.
Ciò posto, valorizza poi la contemporanea condizione di insolvenza irreversibile e di assenza di un progetto di piano ragionevole.
Quanto al primo concetto ritiene l’impresa non meritevole di sostegno in considerazione sia del particolare stato di “pre insolvenza, se non di vera e propria insolvenza, e non di mera crisi” (che deduce dalla contemporanea presenza dell’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi e da un rapporto costi/ricavi in sostanziale disequilibrio negativo), sia anche dell’irreversibilità della stessa (che ricava dall’accertata assenza di una ragionevole e concreta prospettiva di risanamento, conseguente alla mancata effettuazione del test pratico, alla risoluzione dei contratti di locazione inerenti due rami di azienda, all’indisponibilità già manifestata da alcuni creditori alle trattative, alla non emersione della disponibilità dei soci o di terzi investitori a fornire sostegno finanziario al risanamento).
A ciò aggiunge l’evidenza di un progetto di piano di risanamento depositato assolutamente embrionale rispetto alle indicazioni contenute nella lista di controllo di cui all’art. 13, comma 2 e dalla rappresentazione altrettanto generica delle azioni e degli interventi ipotizzati per il superamento della crisi, dando così rilievo anche alla non del tutto consona attività svolta dall’esperto, a valenza sostanzialmente interlocutoria ed incapace di fornire dimostrazione positiva della “concretezza” e “ragionevolezza” del progetto di ristrutturazione.
In un contesto, tra l’altro, in cui sarebbe stato necessario un controllo più esteso e rigoroso considerato che quanto più la condizione dell’impresa si avvicina allo stato di insolvenza, “tanto più ristretti risultano i margini di manovra per il mantenimento della continuità aziendale e maggiore è il pericolo per la collettività dei creditori”.
Il che avrebbe, al più imposto l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza con riserva (art. 44 CCII) evitando di avviare la composizione negoziata, la quale è manifestamente inconciliabile con un progetto di risanamento “in bianco”.
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