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Il trattamento di fine mandato

Giornalista.
Dottore Commercialista, Revisore Legale e Mediatore Professionista.
Oltre all’attività “ordinaria” contabile e fiscale e di controllo di gestione, è specializzato in Consulenza su Operazioni di riorganizzazione e risanamento societario e di Tutela e protezione dei patrimoni personali. Inoltre è specializzato nella Difesa del contribuente durante tutte le fasi del contenzioso tributario.
E-mail: luca.santi@studiosanti.it

Il trattamento di fine mandato

In considerazione dell’avvicinarsi all’approvazione dei bilanci di Esercizio si ritiene utile approfondire la questione TFM (trattamento di fine mandato) nei confronti degli amministratori, anche in ottica di trattamento contabile. Il trattamento ha notevoli punti di interesse sia fiscali che giuridici.

Il codice civile non detta nulla sulla normativa applicabile a questo delicato tema. L’agenzia è intervenuta più volte interpretando la norma in maniera molto restrittiva.

Per una migliore esposizione si ritiene analizzare il delicato argomento dalla parte dell’ente erogatore e della parte del percipiente.

IL TFM PER LA SOCIETÀ EROGATRICE

A differenza del Trattamento di fine rapporto (TFR), stabilito dall’art. 2120 del C.C., il quale prevede che “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto…” il Trattamento di fine mandato (TFM), come accennato in premessa, non ha una specifica regolamentazione legislativa, né per quanto riguarda la normativa civilistica, né per quanto riguarda la normativa fiscale, contenuta nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Relativamente alla possibilità di prevedere un compenso da corrispondere all’amministratore a titolo di indennità di fine mandato, questa è rimandata allo statuto della società, nonché alla volontà dei soci, che con delibera assembleare ne determinano, oltre che la sussistenza, anche gli aspetti quantitativi relativi la quota annua da accantonare a titolo di indennità.

A tal proposito intervengono gli artt. 2364 C.C., il quale nell’identificare i poteri dell’assemblea ordinaria sancisce che la stessa “determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto…” e l’art. 2389 C.C. il quale afferma che il compenso agli amministratori è stabilito al momento della nomina oppure dall’assemblea dei soci.

Per quanto riguarda la normativa fiscale relativa il TFM, tale indennità è riconducibile alle regole di deducibilità previste dall’art. 105, co. 4, D.P.R. 916/1987, il quale fa specifico richiamo all’art. 17 TUIR, che prevede la possibilità di optare per la tassazione separata, in luogo della tassazione ordinaria, più in particolare, alla lettera c) sono comprese le “indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2 dell’articolo 49, se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto…”.

Nello specifico, l’articolo 105 c.4 del TUIR ammette, nell’ambito della corretta determinazione del reddito d’impresa, la deduzione per competenza degli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto (di cui il già richiamato art. 17 c.1 l. c), vale a dire, in particolare, delle indennità di cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa leggasi indennità dovute “in relazione agli uffici di amministratore”.

Secondo quanto disposto dalla norma sopra esaminata, l’art. 105, D.P.R. 917/1986 estende la deducibilità secondo il principio di competenza del TFM, senza, a tal fine, prevedere alcun particolare ed ulteriore adempimento.

Di differente avviso è l’Agenzia delle Entrate, poiché nella R.M. 22.5.2008, n. 211/E, l’Amministrazione finanziaria, chiamata a esprimersi su corretti criteri di deducibilità del TFM, ha disposto che lo stesso risulta sì deducibile per competenza, divenendo deducibile nell’anno di erogazione, ovvero per cassa secondo il medesimo regime che disciplina l’imponibilità in capo all’amministratore percettore, qualora non sia presente un documento avente data certa anteriore all’accantonamento dell’indennità.

In particolare l’amministrazione finanziaria, riferendosi all’art. 17 del TUIR, il quale prevede che il ricorso alla tassazione separata è possibile solo “se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto”, ritiene che il “rinvio a quest’ultima disposizione debba rigorosamente ed esclusivamente intendersi quale specifico riferimento ai rapporti risultanti da data certa con la conseguenza che, per i rapporti che non soddisfano tale condizione, viene meno la deducibilità del relativo accantonamento per indennità di fine mandato. La deduzione del relativo costo, pertanto, avverrà nell’anno di effettiva erogazione dell’indennità medesima”.

L’orientamento fornito dall’Amministrazione finanziaria non è tuttavia, condiviso dalla dottrina, così come confermato dal Parere n. 1 del 9.1.2009 del CNDCEC, nonché dalla Norma di comportamento dell’Aidc Milano, la n. 180 del 7.4.2011, che ritiene sempre deducibile, ai fini IRES, l’accantonamento di tale indennità previsto da una deliberazione assembleare.

A supporto di tale tesi si conferma anche quanto sostenuto da Maurizio Leo (Giuffrè Editore – Le imposte sui Redditi nel Testo Unico – Tomo II) dove sostiene che “la disposizione dell’articolo 105 TUIR si riferisca alla tipologia del reddito e cioè all’indennità dovuta per la cessazione della carica e non già ai presupposti per l’assoggettamento a tassazione separata. Pertanto anche in carenza delle condizioni previste dalla su indicata lett. c) dell’articolo 17 l’indennità in questione dovrebbe concorrere alla formazione del reddito d’impresa per la parte di accantonamento maturata nell’esercizio”.

Tale convincimento si basa in primo luogo sulla considerazione che la pattuizione contrattuale consente di determinare anno per anno l’onere di competenza nel rispetto del principio generale posto dall’articolo 109 TUIR; inoltre il comma 4 dell’articolo in rassegna, come si è detto, rinvia alla lettera c) dell’articolo 17 ai soli fini dell’individuazione delle tipologie dell’indennità che consentono la deduzione dell’accantonamento senza subordinare tale deducibilità alla circostanza che il reddito debba essere tassato separatamente ovvero in via ordinaria.

Non appare pertanto condivisibile la posizione assunta dall’Agenzia delle entrate …”.

Di questo parere e lettura è l’autorevole contributo della summenzionata Norma di comportamento n. 180 dell’AIDCEC di Milano:

“Le società di capitali che, a fronte di apposita deliberazione dell’organo competente, sono tenute a corrispondere una indennità di fine rapporto agli amministratori devono effettuare un corrispondente accantonamento in bilancio che è sempre deducibile, ai fini IRES, per competenza. Il regime di deducibilità per competenza dell’indennità di fine rapporto si rende, quindi, applicabile a prescindere dal fatto che il diritto all’indennità venga stabilito anteriormente all’inizio del rapporto, in sede di nuova nomina di amministratori il cui mandato è venuto a scadenza o in costanza di rapporto.”

Ad abbundantiam si rimanda alla giurisprudenza di merito: CTP di Brescia, sentenza 90 del 21 giugno 2012 che ritiene legittima la deduzione per competenza, e alla CTP di Reggio Emilia del 18 ottobre 2010 n. 186.

Importante è anche la sentenza 1869/15/2014 della Ctr Lombardia la quale sostiene che il trattamento di fine mandato (TFM) va dedotto per competenza anche in assenza di una specifica delibera assembleare che lo prevede se dalla lettura dello statuto sociale emerge una stretta connessione tra lo stesso e il compenso agli amministratori appositamente deliberato.

Va sottolineato, infine, che l’indennità di fine mandato deve sempre risultare in modo esplicito da apposita delibera assembleare, i cui verbali devono essere annotati cronologicamente sui libri della società. Di fatto, la Corte di Cassazione con la sentenza nr. 28585/2008 ha stabilito che l’Amministrazione Finanziaria non può sindacare sulla congruità dei compensi agli amministratori quando gli stessi risultano deliberati dall’assemblea dei soci, anche se stabiliti in misura eccessiva.

Pur se non condiviso dalla dottrina, nella pratica, al fine di evitare un sicuro contenzioso tributario è comunque sempre consigliabile ufficializzare l’indennità attraverso un documento dotato di data certa.

A tale scopo, l’Agenzia delle Entrate, con la CM 10/E del 2007 allo scopo di determinare una data certa, fa riferimento alle seguenti esemplificazioni:

  • la formazione di un atto pubblico;
  • l’apposizione di autentica, il deposito del documento o la vidimazione di un verbale, in conformità alla legge notarile;
  • la registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio pubblico;
  • il timbro postale che deve ritenersi idoneo a conferire carattere di certezza alla data di una scrittura tutte le volte in cui lo scritto faccia corpo unico con il foglio sul quale il timbro stesso risulti apposto;
  • l’utilizzo di procedure di protocollazione o di analoghi sistemi di datazione che offrano adeguate garanzie di non modificabilità dei dati successivamente alla annotazione;
  • l’invio del documento a un soggetto esterno, per esempio un organismo di controllo.

Sempre nell’ambito della definizione di una data certa per ciò che concerne la delibera assembleare che stabilisce il TFM, con la norma di comportamento n. 125/1995 l’Associazione dei dottori commercialisti di Milano ha ritenuto idonei a tale scopi i seguenti comportamenti:

  • estratto notarile del libro delle deliberazioni o la vidimazione notarile del libro stesso ai sensi dell’art. 1 del R.D.L. n. 1666, 14 luglio 1937;
  • la notifica rituale (con ufficiale giudiziario o mezzi equipollenti) all’amministratore della delibera che gli attribuisce l’indennità;
  • l’invio con raccomandata della delibera in plico senza busta;
  • invio della delibera tramite PEC ad un’altra PEC, come allegato o riportando la stessa delibera nel testo dell’e-mail certificata.

Infine, bisogna sottolineare come oggi, le società, nell’ambito dell’Indennità di fine mandato da corrispondere, decidano di stipulare una polizza assicurativa per far fronte all’impegno assunto nei confronti dell’amministratore. Il contraente della polizza è sempre la società, mentre il beneficiario può essere la società o l’amministratore stesso. In questo caso i premi pagati annualmente corrispondo alla somma da accantonare al fondo di fine mandato.

CONTRIBUTO PREVIDENZIALE E TFM – CHIARIMENTI DELL’INPS

Così come per i compensi erogati agli amministratori, anche per il TFR è previsto l’assoggettamento alla CASSA SEPARATA INPS, di cui alla L. 335/1995; anche nel caso in cui gli amministratori siano già iscritti alla cassa commercianti o artigiani, in qualità di cosi attivi della società.

Di fatto l’Istituto, con interpretazione autentica del Dl 78/2010, ha chiarito che è fatto divieto di contemporanea iscrizione a più assicurazioni solo nell’ambito delle attività d’impresa, escludendo quindi i rapporti di lavoro parasubordinati soggetti alla legge 335/1995.

I contributi previdenziali in oggetto, risultano per i 2/3 a carico della società, mentre per 1/3 risultano a carico dell’amministratore, tuttavia, obbligata al versamento dei contributi per il loro intero ammontare è la società, che procede trattenendo in busta paga i contributi a carico dell’amministratore.

Pertanto, l’indennità di fine mandato è soggetta al pagamento del contributo previdenziale in vigore, al momento in cui la stessa viene liquidata.

A prescindere se il compenso in capo al percepente sia soggetto a tassazione separata o ordinaria, calcolato secondo quanto disposto dall’Istituto, sull’importo dell’indennità al lordo della ritenuta fiscale 20%.

 

IL TFM PER IL PERCIPIENTE

Per quanto riguarda la tassazione del TFM in capo all’amministratore, trova applicazione quanto espressamente previsto dall’art. 17, comma 1, il quale individua le tipologie di redditi che, in considerazione della loro tendenziale formazione pluriennale, sono assoggettati al regime di tassazione separata.

In particolare, al lettera c) dell’articolo in esame prevede che la tassazione separata possa essere applicata alle “…indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2 dell’articolo 49 (ora 53), se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto nonché’, in ogni caso, le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”.

Pertanto, il trattamento di fine mandato, quale tipico caso di indennità di fine rapporto è, soggetto a tassazione separata, a meno che il soggetto percepente non decida di optare per la tassazione ordinaria.

L’assoggettamento a tassazione separata significa la non applicazione delle normali aliquote reddituali Irpef determinate per scaglioni di reddito, bensì assoggettare l’indennità a un’aliquota impositiva risulta pari alla metà del reddito complessivo netto dichiarato dal contribuente nel biennio precedente.

Pertanto, se al momento del pagamento dell’Indennità, la società erogatrice in qualità di sostituto di imposta, opera sull’imponibile una ritenuta a titolo di acconto nella misura del 20%, sarà l’Amministrazione finanziaria a liquidare e ad iscrivere a ruolo l’imposta in via definitiva, calcolata sulla base del reddito medio relativo il biennio precedente.

In sede di calcolo dell’imposta in via definitiva, l’amministrazione finanziaria procede anche con l’eseguire un calcolo di convenienza tra la tassazione separata e quella ordinaria, applicando in questo caso la tassazione maggiormente favorevole al contribuente.

Nell’ambito della tassazione in capo all’amministratore dell’indennità di fine mandato, è necessario per lo stesso che l’indennità derivi da atto avente data certa, affinché il contribuente possa beneficiare del regime di tassazione separata.

Questo perché, nel caso in cui l’indennità in questione fosse attribuita in costanza di rapporto, e non potendo l’amministratore far valere i presupposti richiesti dall’art. 17, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 917/19864, ovvero la presenza di una data cera, l’amministratore stesso non potrà optare per la tassazione separata, dovendo obbligatoriamente assoggettare l’indennità a tassazione ordinaria, per scaglioni di reddito.

Pertanto, nel caso in cui l’indennità di fine mandato sia stata stabilita con atto non avente data certa, affinché l’amministratore possa beneficiare del regime di tassazione separata, secondo quanto stabilito dall’articolo 17 TUIR, occorre che lo stesso si dimetta e “ricontratti” con la società il proprio compenso e l’indennità di fine mandato.

In particolare, un componente dell’organo di gestione cessato dal mandato (per revoca, rinuncia o decadenza) se rieletto (cfr Art. 2383 c.c.) trae legittimazione all’esercizio della funzione dall’ultimo atto di nomina.

Il legislatore ha previsto alcune limitazioni relativamente la possibilità per il contribuente di beneficiare per l’applicazione della tassazione separata sulle indennità percepite. Il D.L. 201 del 2011 (convertito con modificazioni della L. 214 del 22.12.2011) ha di fatto, apportato alcune modifiche riguardo alla disciplina in esame.

Più precisamente, il Decreto ha previsto l’assoggettamento delle indennità a tassazione ordinaria, in luogo della tassazione separata, per le indennità e i compensi relativi la cessazione di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (erogati indipendentemente in denaro o in natura), per la quota degli stessi eccedente l’importo di 1 milione di euro. Questa disposizione si applica alle indennità il cui diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011. Sul punto si rimanda alla CM. 3/E/2012. La norma in oggetto interessa, sotto il profilo soggettivo, i soli soggetti passivi IRPEF, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, che hanno maturato il diritto a percepire le indennità e i compensi a decorrere dal 1° gennaio 2011.

Infine, essendo la norma in esame trova valenza esclusivamente fiscale, la stessa non determina alcun mutamento nella natura delle indennità erogate.

La circolare ricorda che: “L’applicazione della disposizione richiede delle precisazioni in quanto sia nell’ipotesi in cui sia erogato solo il TFR o un’indennità equipollente, sia nell’ipotesi in cui siano erogate anche altre indennità e somme, possono concorrere alla formazione dell’importo complessivo eccedente euro 1.000.000 redditi per i quali, a seconda della tipologia e dell’anno di maturazione, sono previste diverse modalità di calcolo della tassazione separata; conseguentemente non è irrilevante individuare quali siano i redditi che concorrono prioritariamente alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del TUIR e quali siano quelli che rimangono assoggettati a tassazione separata.

CONGRUITÀ DEL TFM

A conclusione dell’argomento trattato, si ritiene utile sottolineare come la determinazione sia dei compensi erogati all’amministratore, sia dell’indennità di fine mandato, possa derivare esclusivamente da un confronto tra le parti, magari connessa alle performance aziendali.

La giurisprudenza prevalente di fatto ritiene che l’Amministrazione finanziaria non possa sindacare la congruità degli importi stabiliti a titolo di compensi o indennità per gli amministratori.

A sostegno di tale tesi di seguito di riportano alcune delle sentenze che trattano del compenso dell’amministratore, e che per analogia si possono applicare al trattamento di fine mandato. In primis, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6599 del 09/05/2002 ha riconosciuto l’insindacabilità del compenso all’amministratore con riferimento al quantum sostenendo che l’Amministrazione finanziaria “non ha il potere di valutare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori delle società di persone, per cui tali compensi sono deducibili come costi ai sensi dell’articolo 62 del DPR 917/1986 (ora art. 95 e 56 TUIR)”. Medesima posizione è stata assunta, sempre dalla suprema Corte, nel 2005, con la sentenza n. 21155, e nel 2008, con la sentenza n. 28595. Infine, con la sentenza n. 24957 del 2010 è stato ribadito dalla suprema Corte che i compensi degli amministratori sono sempre deducibili, e l’amministrazione finanziaria non ha alcuna possibilità di sindacare i loro importi.

Pertanto, dal punto di vista della quantificazione del compenso spettante all’amministratore, l’Amministrazione finanziaria non ha la possibilità di mettere in discussione quanto stabilito dalla società, sempreché la determinazione dei stessi compensi risulta da apposita deliberazione adottata da parte dell’assemblea dei soci.

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Luca Santi
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