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La derelizione dei beni nella liquidazione controllata
Nel novero della “liquidazione controllata del sovraindebitato” merita attenzione la questione della derelizione dei beni che non appare affatto regolamentata. Uno spunto di interesse offre la lettura di una recente giurisprudenza di merito (Tribunale di Lecce, 30 novembre 2023) che, nell’affrontare il tema, nega l’applicazione della regola generale contenuta all’interno delle cd “procedure maggiori” con riferimento alla preventiva rinuncia, senza, tuttavia, definire la sorte dei beni stessi nel prosieguo della procedura.
Il provvedimento in commento parte dalla valutazione che il Liquidatore aveva effettuato di non includere tra i beni attratti alla procedura alcuni immobili collocati in territorio straniero (con richiesta di dispensa dall’operare la prescritta trascrizione) ritenendo diversamente che “il CCII, nel regolare la procedura di liquidazione controllata, non attribuisce al Tribunale e, prima ancora al Liquidatore, la facoltà di omettere la formalità della trascrizione della sentenza di apertura della procedura liquidatoria su determinati beni immobili del debitore ovvero di escluderli dall’acquisizione all’attivo, atteso che ai sensi del comma 2 lett. g) dell’art. 270 CCII il Giudice, quanto vi sono beni immobili, “ordina” la trascrizione della sentenza presso gli uffici competenti, precisandosi, al successivo comma 4, che gli adempimenti di cui alla lettera g) poc’anzi richiamata sono eseguiti a cura del liquidatore”.
Ad ulteriore sostegno della necessità di curare il predetto adempimento il Tribunale pone la considerazione che “il Legislatore non abbia inteso attribuire – nella presente fase – al Liquidatore o al Tribunale la facoltà di non acquisire all’attivo i beni immobili sulla base di una valutazione di non convenienza della liquidazione di tali beni, conclusione supportata non solo dal chiaro tenore letterale del richiamato art.270 CCII, ma anche dalla circostanza che anche nella successiva fase di redazione dell’inventario e di formazione del programma di liquidazione l’art. 272 comma 2 CCII richiami i soli commi 3 e 4 dell’art. 213 in materia di liquidazione giudiziale e non anche il comma 2 dell’art. 213, ove si dispone che il Liquidatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all’attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”.
Le argomentazioni poste a base del provvedimento appaiono certamente condivisibili laddove si faccia riferimento ad un approccio rigoroso e testuale, posto che, effettivamente, la limitazione espressa del mancato richiamo al comma 2 dell’art. 213 CCII non consente neppure un’interpretazione analogica. L’aver escluso la possibilità di “non acquisire all’attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività appaia manifestamente non conveniente” impone al Liquidatore di operare lo spossessamento su tutto il patrimonio del debitore; né, per vero, è possibile ritrovare un addentellato nell’art. 142 CCII che, per altra via, avrebbe consentito di operare la rinuncia ad alcuni beni del debitore.
Ciò che, tuttavia, non convince e che merita un’ulteriore riflessione è la sorte finale dei beni stessi qualora la liquidazione non dia gli esiti sperati. La giurisprudenza commentata, nell’imporre la necessità di trascrivere la sentenza sui beni immobili del debitore pare risolvere la problematica solo “in relazione alla presente fase” rinviando la questione, pur senza risolverla, ad un momento successivo in cui possa operarsi un contraddittorio con i creditori, reso possibile solo “nella successiva fase disciplinata dall’art.273 cpc “(rectius CCII).
Occorre allora un ulteriore sforzo interpretativo per verificare se, ed in quale fase, i beni, per i quali non è possibile effettuare una rinuncia preventiva, possono essere poi definitivamente “abbandonati” nelle ipotesi in cui la loro liquidazione si manifesti non conveniente.
Non è di aiuto il rimando che l’art. 275 CCII opera in relazione alle vendite, posto che l’art. 216 CCII si limita esclusivamente a definire la stringente tempistica di almeno tre esperimenti di vendita all’anno, mancando, come detto, la norma di chiusura del limite dei “sei esperimenti di vendita cui non ha fatto seguito l’aggiudicazione” declinata dal non richiamato comma 2 dell’art. 213 CCII.
Resta un’unica soluzione che si ricava dalla lettura della recente sentenza emessa dalla Corte Costituzionale (n° 6 del 19 gennaio 2024) la quale, nel valutare principalmente la sorte dei “beni futuri” limita al triennio (ricavato dal termine dell’art. 282 CCII che regola l’esdebitazione di diritto) il lasso di tempo nel quale i creditori possono confidare che il Liquidatore farà quanto necessario per soddisfare le sue ragioni, inclusa l’acquisizione dei beni sopravvenuti. In ciò tenendo anche conto del generico presidio contenuto nella disposizione di cui all’art. 272 comma 3, secondo il quale “il programma deve assicurare la ragionevole durata della procedura”. Così ricostruita la questione è possibile immaginare che, decorso il triennio e dimostrato di aver esperito tutti i tentativi di vendita infruttuosi, la derelizione ben potrà essere invocata a beneficio della chiusura della procedura.
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