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La diffusione delle informazioni sul web, tra fake news e plagio
La diffusione delle informazioni sul web, tra fake news e plagio
Abstract – Le informazioni che circolano sul web non sono sempre attendibili. Si passa da vere e proprie fake news a contenuti autentici e “veritieri”, ma copiati e incollati da numerosi soggetti, tanto da renderne difficile l’individuazione dell’autore originario. Nel presente contributo, si esporranno, in breve e senza alcuna pretesa di esaustività, le conseguenze civili e penali connesse alla diffusione delle “bufale” e delle opere letterarie “plagiate”.
Introduzione
Nel mondo d’oggi, caratterizzato da una forte digitalizzazione da parte degli utenti e da una spasmodica necessità di condivisione di informazioni sul web (e, più in particolare, sui social network) e sulle applicazioni di messaggistica istantanea, si rischia spesso di imbattersi in notizie false, a tratti pretestuose, riportate un numero considerevole di volte e, per questo, ritenute generalmente attendibili.
Tali notizie vengono comunemente denominate fake news (o, usando la lingua nostrana, “bufale”) e rappresentano una vera e propria piaga del nostro tempo, che porta alla regressione di informazioni scientifiche a mere congetture (che possono essere, dunque, smentite con altrettante supposizioni non supportate da alcuna evidenza scientifica) e alla valorizzazione di notizie non fondate a “verità assolute”.
Si aggiunga, poi, che, per quelle notizie che risultano autentiche e “veritiere” – in quanto frutto di approfondimenti e di studio – vi è il fondato pericolo che soggetti diversi dall’autore dell’opera si approprino del lavoro altrui, divulgandone i contenuti come se quanto scritto fosse il risultato del proprio ingegno.
Questo secondo caso è noto come “plagio” e rappresenta, al pari delle fake news, un’altra piaga dei nostri giorni.
Nel presente contributo, si analizzerà, in breve e senza pretesa di esaustività, le implicazioni civili e penali connesse alle fake news e al plagio delle opere letterarie.
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La pericolosità delle fake news al giorno d’oggi
Per capire la pericolosità delle c.d. “bufale”, occorre tener presente che esse rappresentano una strategia di disinformazione, tesa a sviare il lettore dalla verità (spesso scientifica) connessa ad un determinato argomento.
Queste informazioni falsate “corrono” velocemente sul web, non solo perché diffuse, spesso, da organi di stampa, ma soprattutto perchè condivise sui social network e sulle piattaforme di messagistica istantanea.
Ai fini del presente articolo, non interessa “chi” ci sia dietro alle fake news e “perché” a tali notizie venga dato questo risalto mediatico, in quanto ci vogliamo limitare a mettere in guardia i nostri lettori dai pericoli connessi alla condivisione di “bufale”.
Ebbene, da un punto di vista civilistico, la condivisione di “notizie false” potrebbe portare il soggetto leso da detta diffusione ad una richiesta di risarcimento danni, anche – ove si ritenesse necessario – nei confronti degli utenti finali (soprattutto laddove quest’ultimi apportino maggiore risalto alla “bufala”).
Ciò che più preoccupa, però, sono i risvolti penali della diffusione delle fake news. I reati che potrebbero essere integrati, in tal caso, potrebbero essere (a titolo meramente esemplificativo) i seguenti:
- rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio (art. 501 c.p.);
- diffamazione (art. 595 c.p.);
- pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico (art. 656 c.p.);
- procurato allarme presso l’autorità (art. 658 c.p.);
- abuso della credulità popolare (art. 661 c.p.).
Al fine di evitare la ricorrenza delle suddette fattispecie penali, prospettabili – ove ne ricorrano i presupposti – anche nei confronti degli utenti che diffondono le fake news, occorre sempre verificare l’attendibilità della fonte da cui provengono dette notizie, magari facendo riferimento ai siti di debunking.
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Il diritto d’autore e il pericolo di plagio delle opere letterarie
Con diverso riguardo alle notizie autentiche e “veritiere”, esse vengono solitamente pubblicate su riviste specializzate e sono circostanziate da fonti ufficiali, che, come tali, possono essere smentite solo da altrettanto capillari ed approfonditi studi, di segno contrario, sulla tematica affrontata.
Per queste opere letterarie vi è il fondato pericolo di una illegittima ripresa delle informazioni ivi contenute da parte di soggetti diversi dall’autore dell’opera.
A tutela dell’autore, il legislatore italiano ha previsto specifiche forme di protezione disciplinate dal codice civile (cfr. artt. 2575 e ss.) e dalla legislazione speciale (legge n. 633/1941, c.d. “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”).
Più nel dettaglio, l’art. 171 della legge n. 633/1941 punisce “con la multa da euro 51 (lire 100.000) a euro 2.065 (lire 4 milioni) chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma: a) riproduce, trascrive […] un’opera altrui […]; a-bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa […]”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la norma da ultimo richiamata racchiude la disciplina del c.d. “plagio”, che «si realizza con l’attività di riproduzione – si parla perciò di «appropriazione» – totale o parziale degli elementi creativi di un’opera altrui, così da ricalcare in modo «parassitario» quanto da altri ideato e quindi espresso in una forma determinata e identificabile» (Cass. n. 2039/2018).
In particolare, secondo la suddetta sentenza di Cassazione, il plagio si risolve in un meccanismo comparatistico tra l’opera “plagiata” e quella “plagiaria”, secondo i seguenti criteri:
- l’opera “plagiata” (i.e., quella da cui si prende spunto):
- deve presentare i caratteri della «originalità creativa riconoscibile», intesa come quella «personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 legge citata [n. 633/1941, n.d.r.][1], di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo»;
- non deve riguardare la «idea su cui l’opera si fonda, non proteggendo la disciplina sul diritto d’autore l’idea in sé (ottenibile anche fortuitamente, come autonomo risultato dell’attività intellettuale di soggetti diversi e indipendenti), trovando invece esso il presupposto nell’identità di «espressione», intesa come forma attraverso la quale si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale, meritevole di tutela allorché rivesta il carattere dell’originalità e della personalità: le idee per se stesse non ricevono protezione nel nostro ordinamento, ma è necessario che sia identico il modo in cui sono realizzate e cioè la forma esterna di rappresentazione»;
- l’opera “plagiaria” (i.e., risultante dall’opera di plagio):
- deve «essere priva di un cd. scarto semantico, idoneo a conferirle rispetto all’altra un proprio e diverso significato artistico, in quanto abbia dall’opera plagiata mutuato il cd. nucleo individualizzante o creativo (cfr. Cass. 19 febbraio 2015, n. 3340); in sostanza, è necessario che l’autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso in forma determinata e identificabile»;
- deve differenziarsi dall’opera “plagiata” nelle «caratteristiche essenziali, mentre non sono sufficienti originalità di mero dettaglio dell’opera plagiaria»; pertanto, «non sussiste il plagio qualora due opere, pur avendo in comune il cd. spunto o motivo ispiratore, differiscano quanto agli ulteriori elementi caratterizzanti ed essenziali, permanendo viceversa il plagio anche quando esso sia «camuffato» (o «mascherato») mediante varianti solo apparenti»;
- non deve riguardare «in sé la confondibilità tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra»;
- deve essere paragonata all’opera “plagiata” secondo una «valutazione complessiva e sintetica, non analitica, incentrata sull’esame comparativo degli elementi essenziali delle opere da confrontare, dovendosi cioè valutare il risultato globale o l’effetto unitario».
Come si può agevolmente evincere, nonostante i suddetti insegnamenti della Cassazione, la sussistenza, in concreto, del “plagio” non è di facile ed immediata percezione.
Per tale motivazione, si consiglia, quando si scrive un’opera letteraria, di rielaborare criticamente e creativamente lo “spunto” preso da un’opera altrui e, laddove vengano copiate e incollate parti intere, virgolettarle e, poi, citare – in maniera precisa e puntuale – la fonte, al fine di tutelarne la paternità e l’integrità.
Limitarsi a parafrasare un concetto preso da un’opera altrui, con un semplice cambio stilistico nella stesura dell’articolo, infatti, non basterebbe a scongiurare il c.d. “plagio mascherato”, come sopra definito dalla Cassazione.
Laddove non si seguissero tali semplici accorgimenti, potrebbe sussistere un caso di “plagio” nel senso sopra delineato, che può comportare:
- una richiesta di risarcimento danni e di retroversione degli utili, in sede civile;
- le conseguenze penali stabilite dall’art. 171 della legge n. 633/1941 (reclusione e pagamento di multe)[2].
[1] Si riporta l’art. 1 della legge n. 633/1941:
“Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.
Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere letterarie ai sensi della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399, nonché le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore”.
[2] Si riportano, di seguito, gli ultimi tre commi dell’art. 171 della legge n. 633/1941:
“Chiunque commette la violazione di cui al primo comma, lettera a-bis), è ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima dell’emissione del decreto penale di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo della pena stabilita dal primo comma per il reato commesso, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato.
La pena è della reclusione fino ad un anno o della multa non inferiore a euro 516 (lire 1.000.000), se i reati di cui sopra sono commessi sopra un’opera altrui non destinata alla pubblicità ovvero con usurpazione della paternità dell’opera, ovvero con deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera medesima, qualora ne risulti offesa all’onere od alla reputazione dell’autore.
La violazione delle disposizioni di cui al terzo ed al quarto comma dell’articolo 68 comporta la sospensione della attività di fotocopia, xerocopia o analogo sistema di riproduzione da sei mesi ad un anno nonché la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.032 a euro 5.164 (due a dieci milioni di lire)”.
Si rappresenta, inoltre, per mero tuziorismo, che l’ipotesi di “plagio” stabilita dal codice penale, all’art. 603, è fattispecie ben diversa da quella affrontata nel presente contributo, posto che la norma da ultimo richiamata prende a riferimento il plagio come situazione di soggezione totale di una persona su un’altra.
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