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La responsabilità del Commercialista e deontologia professionale
Il rapporto professionale tra il Commercialista e il cliente è disciplinato, dal punto di vista civilistico, dalla normativa in materia di “contratto d’opera intellettuale”, previsto dagli artt. 2229 ss. cod. civ. e, in quanto compatibili, dagli artt. 2222 ss. cod. .civ.
Il prestatore deve eseguire la prestazione richiesta rispettando le regole dell’arte e i principi della scienza ufficiale al momento acquisiti, fornendo al cliente l’indicazione dettagliata dei rischi non escluso un parere contrario al conferimento stesso dell’incarico o la richiesta di affiancamento di altro professionista (Cass. Sez.3 sentenza n.13007 del 23 giugno 2016) e ricevendo il suo consenso informato (Cass Sez. 3 ordinanza n. 14387 del 27 maggio 2019).
Il professionista assume non solo l’obbligo di conferimento delle sue competenze e delle sue energie lavorative, ma anche quello di ottenere il conseguimento del risultato garantito al cliente, assumendo su di sé il rischio dell’insuccesso.
In alcuni casi il prestatore d’opera intellettuale è tenuto all’obbligo di superare un esame di abilitazione con conseguente obbligo di iscrizione in albi pubblici ed assoggettamento alla disciplina di settore.
L’eventuale responsabilità del professionista avrà natura contrattuale e sarà disciplinata dagli artt. 1176 II comma e 2236 cod. .civ. cioè dovrà essere valutata con riferimento alla natura dell’attività esercitata e quindi secondo parametri specialistici e non generici come la comune diligenza del buon padre di famiglia.
Qualora l’incarico comporti la soluzione di problemi tecnici di particolare complessità, la valutazione della diligenza del professionista sarà meno rigorosa e la sua responsabilità potrà essere configurata soltanto in presenza di comportamenti che integrino gli estremi del dolo o della colpa grave cioè, in quest’ultimo caso, in presenza di errori non scusabili. (Cass. ordinanza Sez.2 n..13828 22 maggio 2019).
Alla responsabilità contrattuale potrebbe aggiungersi anche quella extracontrattuale qualora dalla condotta del professionista sia derivata la lesione di diritti soggettivi del cliente comunque tutelati dalla legge (diritto all’immagine, alla reputazione; danno biologico ecc.)
Dal punto di vista probatorio, nel caso di responsabilità contrattuale, il cliente deve provare sia l’inadempimento della prestazione, sia il danno sofferto, sia il nesso di causalità tra il primo e il secondo. Al contrario il professionista deve provare che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile ovvero che manchi l’anzidetto nesso di causalità oppure che nessun danno sia stato arrecato al cliente.
Con particolare riferimento alla professione del commercialista, la responsabilità può derivare da una serie di attività conseguenti ad incarichi ricevuti, di natura privata o pubblica, tra cui quelli giudiziari o all’assunzione di cariche societarie.
Con riguardo a quest’ultimo profilo, il commercialista può essere presidente o componente del collegio sindacale di una società e, come tale, incorrere in responsabilità diretta per fatto proprio qualora dovesse violare il disposto dell’art. 2407 cod. civ., o in responsabilità indiretta per concorso nel fatto altrui, qualora dovesse omettere i dovuti controlli sull’operato degli amministratori sia nell’interesse dei soci che dei creditori della società.
Il Commercialista, nel caso in cui venga nominato curatore fallimentare, assumerebbe la qualifica di pubblico ufficiale e quindi, nei suoi confronti, sarebbe applicabile anche la normativa penale in materia di delitti dei pubblici ufficiali mentre, nel caso in cui venga nominato perito o CTU in un processo penale o in una causa civile, assumerebbe la qualifica di ausiliario del giudice e sarebbe soggetto anche alle norme penali che regolano specificamente l’attività del perito, come ad esempio gli artt. 373 c.p. (falsa perizia), 374 c.p. (frode processuale), 381 c.p. (consulenza a favore di parti contrarie) o che puniscono il rifiuto di assumere l’incarico o di prestare il giuramento (art. 366 c.p.) così come, qualora venga nominato custode giudiziario, sarebbe soggetto alle norme che puniscono la violazione dei relativi doveri (artt. 334, 335, 388 VII comma c.p.)
Tanto argomentato, i comportamenti che il professionista è tenuto a seguire devono osservare le regole della “deontologia professionale”, ispirata all’etica e che individuano comportamenti che devono essere seguiti e che, in caso contrario, sono sanzionabili attraverso il codice deontologico.
Il consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, sulla base delle norme citate in prefazione, ha emanato il Codice deontologico della professione il cui contenuto comprende i principi che il professionista deve osservare nel corso della sua attività (Art.1 c.1).
Compete al Consiglio di Disciplina territoriale il potere di iniziare l’azione disciplinare e gli sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all’Albo tenuto dall’ordine territoriale.
I componenti del Consiglio, ai sensi dell’art.8, comma 3, del DPR 07/08/2012 N.137, vengono designati dal Presidente del Tribunale ordinario di competenza.
Il Consiglio è formato da tre Collegi di disciplina con le relative cariche costituiti da un Presidente, un Segretario e tre componenti. Ad ognuno dei collegi vengono assegnate le trattazioni degli esposti presentati all’Ordine per la fase istruttoria e le conseguenze che ne derivano in ossequio agli articoli del Codice Deontologico.
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