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La riproposizione del ricorso prenotativo nel codice della crisi
Il riformato testo dell’art. 44 del D.Lgs. 14/2019 ricalca, con qualche lieve modifica, soprattutto in termini acceleratori, il contenuto del c.d. “ricorso prenotativo”, già presente all’art. 161 co.6 R.D. 267/42.
L’attuale norma dispone, all’art. 44 co.1, che “Il debitore può presentare la domanda di cui all’articolo 40 con la documentazione prevista dall’articolo 39, comma 3, riservandosi di presentare la proposta, il piano e gli accordi. In tale caso il tribunale pronuncia decreto con il quale: a) fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, fino a ulteriori sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo” (o gli ADR o il PRO); con ciò riproponendo un impianto pressoché inalterato, se non per una dimidiazione dei termini originari (prima fissati fra sessanta e centoventi giorni), per l’impossibilità di proroga allorquando penda un ricorso per apertura della liquidazione giudiziale (con una possibilità di modifica nel testo del correttivo) e per l’espressa specificazione della mancata applicazione della cd “sospensione feriale”.
In tema merita, tuttavia, una particolare attenzione la questione della riproposizione della domanda “in bianco” nelle ipotesi di esito infausto del primo ricorso, che nel previgente sistema era stata espressamente esclusa dal co. 9 dell’art. 161 L., a mente del quale “La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti”.
In assenza di disposizione positiva si pone, allora, il problema dei limiti di applicazione dello strumento che la giurisprudenza di merito (Tribunale di Brescia, 01.02.2024) ha risolto nel senso di ritenere, in mancanza di una previsione conforme a quella dell’art. 161 co.9 L.Fall., l’ammissibilità della nuova domanda “senza i precedenti limiti temporali, purché ciò non si traduca in un abuso dello strumento concordatario” (abuso che, nel caso di specie, non ha ritenuto ricorrente posto che la società aveva documentato lo stato avanzato dei lavori e la necessità di acquisire alcuni dati dei flussi dell’affittuaria).
Il provvedimento in commento offre però l’occasione per ampliare il perimetro di indagine, cercando di cogliere, oltre il profilo dell’abuso, anche ulteriori tutele, specie con riferimento alle (generalmente) collegate misure protettive.
Uno sguardo di insieme al Codice della Crisi consente di rinvenire una limitazione all’interno del solo art. 47 co.6 CCII che, disciplinando il diverso caso del “concordato pieno”, prevede, nelle ipotesi di dichiarata inammissibilità della proposta, la possibilità di riproposizione solo “quando si verifichino mutamenti delle circostanze”.
Quanto tale regola possa essere utilizzata al caso del ricorso “aperto”, dove gli epiloghi sono molteplici e, soprattutto, il contenuto della domanda è molto semplificato, è questione complessa, potendo azzardare una applicazione in chiave analogica, così da giungere a ritenere impedito l’ulteriore utilizzo dello strumento a quell’imprenditore che, nel depositare la nuova domanda, non dia dimostrazione del mutamento dei presupposti.
Tesi che, tuttavia, appare forse troppo spinta, potendo in forma più mediata utilizzare, invece, la disposizione dell’art. 47 CCII solo come uno tra i criteri per valutare l’eventuale “abuso dello strumento”.
Così ragionando, non tutte le domande nuove dovrebbero contenere “mutate circostanze”, dovendo ritenere, però, necessario acquisire, da parte del Tribunale, un ulteriore corredo argomentativo che, nell’osservanza dei principi di buona fede e correttezza declinati all’art. 4 CCII, consenta una completa disclosure dei motivi del rinnovato deposito e, conseguentemente, l’individuazione di eventuali profili di abuso.
Per di più va distinto il caso in cui la nuova domanda ex art. 44 CCII consegua ad un precedente ricorso che ha generato un concordato inammissibile (e qui la valutazione dovrà essere necessariamente più rigorosa), da quella che promana da una precedente domanda il cui termine è spirato senza il deposito del piano (che potrebbe ritenersi, in assenza di ricorsi per liquidazione giudiziale, una sorta di “proroga”, che non necessariamente impone un mutamento di struttura).
In detto ricostruito contesto non sfugge, però, che la vera tutela risieda oggi non tanto nel termine di cui all’art.44 CCII, quanto piuttosto nelle collegate misure protettive. Ora, la circostanza che le stesse non siano più automatiche ma necessitanti di conferma o di revoca, sposta il tema dell’abuso del diritto su un diverso piano e pone un ulteriore limite nella consecuzione delle procedure, da confinarsi nel perimetro temporale di cui all’art. 8 CCII, dovendo tener conto del loro complessivo utilizzo.
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