Quando parliamo di sostenibilità, spesso la associamo alla tutela dell’ambiente o a una crescita economica equa…
La tutela dei denuncianti nel settore pubblico e privato (Whistleblowing)
L’Unione Europea, con la direttiva n. 1937 del 2019, ha voluto introdurre una normativa di tutela per coloro che, sia nell’ambito del settore pubblico che di quello privato, intendano segnalare comportamenti che possono integrare violazioni della normativa europea o di quella nazionale e che ledano l’interesse pubblico o l’integrità dell’ente privato e delle quali i dichiaranti siano venuti a conoscenza nell’esercizio della loro attività lavorativa.
La finalità della normativa europea è anche quella di uniformare le legislazioni degli Stati membri in materia di tutela dei dichiaranti. Il termine usato in riferimento alla predetta normativa è “WHISTLEBLOWING”.
La legislazione italiana ha recepito e dato attuazione all’anzidetta normativa col decreto legislativo 10 marzo 2023 n 24, avente efficacia dal 15 luglio 2023 per i datori di lavoro pubblici e privati con più di 249 dipendenti e dal 17 dicembre 2023 per quelli con almeno 50 dipendenti.
Restano escluse le segnalazioni finalizzate a perseguire un interesse di natura personale del dichiarante o del denunciante al pari delle segnalazioni di violazioni in materia di sicurezza e difesa nazionale.
Col termine “violazioni” si intendono, in primo luogo gli illeciti amministrativi, contabili, civili e penali, ma anche le condotte che integrino la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, società ed associazioni non riconosciute ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 insieme con i comportamenti che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o la disciplina del mercato interno.
Destinatari della tutela sono i dipendenti pubblici; quelli degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico; delle società in house e dei concessionari di pubblico servizio, ma anche i lavoratori autonomi, i liberi professionisti e gli imprenditori che entrano in rapporto con la P.A. per lo svolgimento della loro attività nonché i dipendenti del settore privato i cui datori di lavoro abbiano impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti a tempo indeterminato o determinato.
Per rendere operativa la tutela, i soggetti del settore pubblico devono attivare propri canali protetti di segnalazione, che garantiscano, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza sia dell’identità del segnalante che delle persone comunque coinvolte nella segnalazione, sia il contenuto di quest’ultima. La non attivazione o la non operatività di questi canali è una delle condizioni che giustifica la denuncia esterna all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) insieme con la circostanza di aver già effettuato una segnalazione interna che non abbia avuto seguito.
La gestione del canale di segnalazione interna deve essere di regola affidata al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, laddove previsto.
La legge stabilisce anche rigorosi limiti temporali entro i quali comunicare al dichiarante la presa in carico della segnalazione (sette giorni dalla ricezione) e fornire riscontro ad essa (tre mesi dalla comunicazione della presa in carico).
Le segnalazioni scritte, quelle orali verbalizzate e quelle telefoniche registrate sono conservate non oltre cinque anni a decorrere dalla comunicazione dell’esito finale della procedura di segnalazione. E ‘anche possibile una divulgazione pubblica della segnalazione a condizione che sia stata preventivamente effettuata una segnalazione interna o esterna alla quale non sia stato dato riscontro nei termini previsti.
La protezione del dichiarante viene meno quando sia accertata, anche con sentenza di primo grado, quindi non definitiva, la sua responsabilità penale per i reati di diffamazione o di calunnia ai danni del denunciato o per concorso nei medesimi reati commessi da costui e, in tali casi, è anche irrogata al segnalante una sanzione disciplinare.
In presenza di comportamenti ritorsivi ai danni del segnalante, a partire dai più gravi ( licenziamento, retrocessione di grado o mancata promozione), passando per quelli di media gravità (mutamento di funzioni, cambiamento del luogo di lavoro, riduzione dello stipendio, modifica dell’orario di lavoro; mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in uno a tempo indeterminato), per finire a quelli di minore gravità come l’annullamento di una licenza o di un permesso, è riconosciuto al dipendente danneggiato l’inversione dell’onere della prova ossia è il datore di lavoro a dover provare che tali condotte o atti sono motivati da ragioni estranee alla segnalazione.
Infine, se la ritorsione viene accertata, oltre l’annullamento del provvedimento ritorsivo, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.
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