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Le forme di liquidazione nel concordato per cessione di beni
La nuova formulazione dell’art. 84 comma 1 del D.Lgs. 14/2019 propone, quanto all’introduzione di una domanda di concordato preventivo, un’ampia libertà di forme che induce ad abbandonare il classico dualismo “concordato con continuità/concordato liquidatorio”. La norma prevede, infatti, che “L’imprenditore di cui all’articolo 121, che si trova in stato di crisi o di insolvenza, può proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto di cui all’articolo 87, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma”.
In questo variegato contesto va, dunque, ricercata la definizione del procedimento, con particolare riferimento alla fase dell’esecuzione del piano omologato, che pare rinvenirsi nell’114 co. 1 CCII il quale dispone che “Se il concordato consiste nella cessione dei beni, il tribunale nomina nella sentenza di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione”; rinviando ai successivi commi la disciplina applicabile.
Norma, almeno apparentemente, autosufficiente, completa ed in grado di regolare tutta la fase di esecuzione del concordato puramente liquidatorio. Senonché, all’esito di una completa rilettura del Codice della Crisi, ci si imbatte in una parallela disposizione che è quella rinvenibile nell’art. 84 co. 8 CCII a mente del quale “Quando il piano prevede la liquidazione del patrimonio o la cessione dell’azienda e l’offerente non sia già individuato, il tribunale nomina un liquidatore che, anche avvalendosi di soggetti specializzati, compie le operazioni di liquidazione assicurandone l’efficienza e la celerità nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza”; applicandosi gli articoli da 2919 a 2929 del codice civile, tipici della vendita forzata.
L’inconsueta sovrapposizione pone forti interrogativi in chiave applicativa, dovendo porsi il problema di regolare il perimetro di attuazione.
Una prima interpretazione potrebbe essere quella di ritenere che entrambe le disposizioni siano riferite al concordato esclusivamente liquidatorio, sicché tra le due norme intercorrerebbe un rapporto di genere a specie; in tal senso l’ipotesi della cessione di beni disciplinata dall’art. 114 rappresenterebbe soltanto una specie della più ampia nozione di concordato cui l’art. 84, comma 1 CCII farebbe riferimento, con la conseguenza che il comma 8 sarebbe volto a delineare un procedimento di liquidazione diverso e semplificato rispetto a quei concordati che, ancorché qualificabili come liquidatori, non prevedano che la liquidazione debba attuarsi secondo le specifiche modalità presupposte dall’art. 114 CCII. In chiave confermativa di tale orientamento è possibile valorizzare il contenuto residuale dell’art. 84 co. 1 CCII nella parte in cui individua un concordato che si prospetta «in qualsiasi altra forma» e far cenno all’art. 64 bis co.9 CCII che, nell’assoluta libertà di forme, richiama l’art.84 co.8 ed esclude espressamente l’art. 114.
Argomentando diversamente si potrebbe immaginare che la norma dell’8°comma dell’art. 84 CCII si applichi alle sole componenti liquidatorie del concordato in continuità aziendale. Vero è che la disposizione letterale di «liquidazione del patrimonio» pare non attagliarsi all’ipotesi di liquidazione di singoli beni non funzionali alla continuità aziendale e che la previsione alternativa della cessione dell’azienda a soggetto non individuato si discosta dalla continuità aziendale indiretta ex art. 84 comma 2. Ma è altrettanto vero che aver fatto riferimento al piano che «prevede la liquidazione del patrimonio o la cessione dell’azienda» e non «al concordato per cessione di beni», potrebbe convalidare l’ipotesi del riferimento al solo concordato in continuità, il cui piano contenga le due ipotesi individuate, id est la liquidazione di asset fuori dalla continuità o la liquidazione dell’azienda pur senza preventiva individuazione dell’offerente (ipotesi, quest’ultima, che seppur di dubbia applicazione pratica, non sembra vietata da altre disposizioni).
Resta una terza soluzione, che pare possa riequilibrare il complesso sistema, ovvero quella di interpretare che la libertà di scelta e, dunque, la possibilità di richiamare all’interno del piano l’una o l’altra modalità di liquidazione, si applichi ai soli concordati proposti «in qualsiasi altra forma». In altri termini, dare dignità al “tertium genus” del concordato con libertà di forme faculta l’imprenditore ad articolare una proposta che contenga elementi sia di continuità che di liquidazione, senza necessità di espressa qualificazione (ma pur sempre individuando una prevalenza), consentendo, a scelta del proponente, l’adozione dello strumento di cui all’art. 114 CCII o, alternativamente, invocando l’applicazione del comma 8 dell’art. 84 CCII. Il che confinerebbe l’art. 114 CCII alle ipotesi di concordato liquidatorio puro e l’art. 84 co.8 alla componente liquidatoria del concordato in continuità.
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