Quando parliamo di sostenibilità, spesso la associamo alla tutela dell’ambiente o a una crescita economica equa…
Le liti attive e l’incidenza sulla anticipata chiusura del fallimento ex art. 118 comma 2° L.Fall.
L’intervento riformatore di cui all’art. 7 del D.L. 83/2015 nasce con la dichiarata finalità di imprimere una forte impronta acceleratoria alla durata delle procedure fallimentari, tendendo a contenere il diffuso fenomeno delle condanne della cd Legge Pinto.
La norma incisa è costituita, per quanto qui di interesse, dal combinato disposto di cui all’art. 118, co. 2 RD 267/42 “La chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’art. 43.”; nonché del riformato art. 120, co. 5, RD 267/42 a mente del quale “Nell’ipotesi di chiusura in pendenza di giudizi ai sensi dell’articolo 118, secondo comma, terzo periodo e seguenti, il giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto”
L’effetto della mini riforma, figlia di una decretazione emergenziale, ha creato sin da subito notevoli imbarazzi contribuendo ad alimentare grandi incertezze applicative.
Una su tutte, a tacere dei complessi e non disciplinati rapporti fiscali, la questione del perimetro delle liti attive rispetto al quale ci si è ben presto interrogati circa l’effettiva possibilità di accedere alla chiusura anticipata in presenza delle cd “azioni di massa”.
Il dubbio origina dalla non felice formulazione dell’articolo 118 co. 2 RD 267/42, nella parte in cui espressamente richiama l’art. 43 RD 267/42, ovvero i soli “rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento”; il che lascerebbe intendere che è possibile addivenire alla chiusura anticipata solo quando i giudizi radicati siano quelli attinenti la tutela dei rapporti giuridici sostanziali facenti capo al fallito.
Un primo approccio consente di individuare una soluzione per così dire “testuale”, che si ricava da una lettura sistematica dell’impianto normativo, valorizzando così la coerenza del 2° comma dell’art. 118 con la non toccata disposizione del 2° comma dell’art. 120, il quale dispone che “Le azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti derivanti dal fallimento (id est le c.d. azioni di massa) non possono essere proseguite”; con la derivata che il Curatore, a procedura chiusa, potrà mantenere la legittimazione attiva solo per le azioni ex art. 43 DPR 267/42. Soluzione, a ben vedere, confermata proprio dall’integrato ultimo comma dell’art. 120 RD 267/42, disciplinante l’ultrattività del Giudice Delegato e del Curatore che restano in carica “ai soli fini di quanto ivi previsto”, ovvero ai soli fini della gestione delle azioni facenti capo al fallito (in senso conforme Tribunale di Firenze Sez. III 11.11.2016).
A conferma di siffatta ricostruzione è sufficiente riferirsi al particolare meccanismo che si rinviene dagli articoli 67 co. 2 e 70 RD 267/42, laddove, in materia di revocatoria di pagamenti, è stabilito che colui che abbia restituito quanto revocato ha diritto di partecipare al concorso da esercitarsi, pacificamente, attraverso apposita domanda di insinuazione al passivo. E, dunque, se si interpreta il silenzio del legislatore delegato in ordine alle non disciplinate modalità di tale ulteriore accertamento, si coglie in tutta la sua essenza la scelta, a questo punto da intendersi meditata, di non intervenire anche sul 2° comma dell’art. 120, consacrando, dunque, l’impossibilità di applicazione dell’art. 118 co. 2 in presenza di azioni di massa (da intendersi sempre caducate in ogni ipotesi di chiusura della procedura).
Certo è che, per quanto lineare, detta conclusione si pone in aperta contraddizione con la finalità con la quale la norma era stata pensata e ciò ha indotto parte della dottrina e numerosi Tribunali a fornire una interpretazione estensiva inclusiva anche delle azioni di massa, ben consapevoli, però, della “lettura abrogante” corrispondente ad una ingiustificata “amputazione” del riferimento all’art. 43; giungendo così a ritenere che detto richiamo riguardi soltanto gli aspetti processuali (conservazione della legittimazione processuale) e non quelli sostanziali (per quali azioni conservi la legittimazione).
Su detta struttura si innesta il nuovo Codice della Crisi che disciplina con autonomo articolo, il 234, l’ipotesi della c.d. chiusura anticipata replicando, per vero, gran parte del precedente impianto. In attuazione della delega (art. 7, comma 10, lettera b) L.155/17), è stato meglio precisato il perimetro applicativo dei giudizi intendendosi, in particolare, quelli aventi ad oggetto i diritti derivanti dalla liquidazione giudiziale e quelli, anche di natura cautelare o esecutiva, finalizzati ad ottenere l’attuazione delle decisioni favorevoli. Così, dovendosi probabilmente intendere un allargamento a tutte le liti, ma residuando ancora forti perplessità in considerazione della ancor monca formulazione del modificato art. 234 (che non contiene più, come invece nella prima bozza, il dato testuale dettato dal principio di delega), dell’immutato ultroneo richiamo all’art. 143 e della assoluta mancanza di disciplina positiva della fase di verifica eventuale.
Di seguito la Direttiva del Tribunale di Salerno per la direttiva per la chiusura anticipata procedure fallimentari con “riparto prospettico”:
Tribunale Salerno direttiva chiusura anticipata procedura fallimentare
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