Quando parliamo di sostenibilitĂ , spesso la associamo alla tutela dellâambiente o a una crescita economica equa…
Lâobbligo del Curatore allo smaltimento dei rifiuti alla luce dellâAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato
La giustizia amministrativa si pronuncia in maniera definitiva sul controverso tema degli adempimenti del Curatore in materia di obblighi ambientali.
Tra le diverse attribuzioni di compiti e responsabilitĂ ascritte al Curatore merita attenzione la posizione che questi assume in ordine alla complessa disciplina dei cd reati ambientali. Nel variegato panorama dellâattuale giurisprudenza, non vi è dubbio che quella amministrativa svolga una funzione di indirizzo, tantâè che sia il giudicante penale che quello civile sembrano ad essa rifarsi, con non sempre univocitĂ di conclusioni.
Analizzando, dunque, la tematica da tale versante viene qui in commento la recente sentenza n° 3 del 26/01/2021 resa dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria che, investito della questione dallâordinanza del 15/09/2020 n. 5454, ha sancito il principio di diritto secondo il quale âricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentareâ.
Il che risolve una annosa e controversa questione, ma impone qualche ulteriore considerazione per effetto del non del tutto lineare percorso argomentativo svolto in sentenza.
Il tema rimesso al Consiglio di Stato era inteso a chiarire âse, a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la societĂ fallita ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 (con la ricaduta sulla finanza pubblica e con un corrispondente vantaggio patrimoniale dei creditori della societĂ fallita e sostanzialmente di questa), pur se il curatore fallimentare – in un’ottica di continuitĂ – “gestisce” proprio il patrimonio del bene della societĂ fallita e ne ha la disponibilitĂ materialeâ.
Dopo unâiniziale prima ricostruzione fattuale il giudicante esamina il profilo soggettivo del Curatore escludendo che questi possa essere considerato âun avente causa del fallito nel trattamento di rifiuti, salve, ovviamente, le ipotesi in cui la produzione dei rifiuti sia ascrivibile specificamente all’operato del curatore, non dando vita il Fallimento ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridicoâ; il che, sempre ad avviso del Collegio, esclude âuna responsabilitĂ del curatore del fallimento, non essendo il curatore nĂŠ l’autore della condotta di abbandono incontrollato dei rifiuti, nĂŠ l’avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore, posto che la societĂ dichiarata fallita conserva la propria soggettivitĂ giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio, attribuendosene la facoltĂ di gestione e di disposizione al medesimo curatoreâ.
Ciononostante, nel valutare la rilevanza dellâobbligo, evidentemente operando un distinguo tra âresponsabilitĂ â e âlegittimazione passivaâ, ritiene âche la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima ex artt. 87 e ss. l.f., comportino la sua legittimazione passiva all’ordine di rimozioneâ; avendo cura di precisare, inoltre, che detta responsabilitĂ âè connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare “beni negativi”), ma in virtĂš della detenzione del bene immobile inquinato su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltitiâ. SicchĂŠ âlâunica lettura del d.lgs. n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilitĂ , è quella che consente all’Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall’impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimentoâ.
Al di lĂ della motivazione, che si fonda sul noto principio del âchi inquina pagaâ e sul mancato riconoscimento al Curatore dellâ”esimente interna” ex art. 192, co.3 D.Lgs. 152/2006, lâAdunanza pone, a ben vedere, un ulteriore elemento di novitĂ che sembrerebbe âdispensareâ dallâobbligo dello smaltimento il Curatore che non abbia stabilito un ârapporto di materialitĂ â con il bene immobile in cui giacciono i rifiuti precedentemente prodotti (ad es. in ipotesi in cui il cespite non sia di proprietĂ e/o non vi sia un titolo atto al godimento).
Di piĂš, incidentalmente, la sentenza esamina il profilo dellâincapienza del fallimento rispetto ai costi della bonifica, ricordando che âin caso di mancanza di risorse, si attiveranno gli strumenti ordinari azionabili qualora il soggetto obbligato (fallito o meno, imprenditore o meno) non provveda per mancanza di idonee risorseâ; nonchĂŠ la possibilitĂ per il Comune di âinsinuare le spese sostenute per gli interventi nel fallimento, spese che godranno del privilegio speciale sull’area bonificata a termini dell’art. 253, comma 2, d.lgs. n. 152/2006â.
Una lettura sistematica che, conclusivamente, seppur chiara nellâenunciato principio che sancisce lâobbligo di smaltimento, sembra mantenere uno spiraglio in ordine allâassenza di responsabilitĂ del Curatore convalidando cosĂŹ quanto giĂ riconosciuto da una certa giurisprudenza penale (Cass. Pen.Sez. III, 28 settembre 2016, n. 40318) secondo lâantico brocardo ad impossibilia nemo tenetur.
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