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Ottanta anni fa, con il Governo Badoglio, Salerno divenne capitale d’Italia
Ottanta anni fa, il 25 luglio 1943, dopo vent’anni di dittatura costituzionale crollava il regime fascista con un semplice voto del Gran Consiglio, l’organo supremo del regime.
È noto ormai da tempo che nessuna congiura fu ordita ai danni di Mussolini perché tutti sapevano che la guerra era perduta ed erano in molti a sostenere, più o meno apertamente, che si dovesse abbandonare l’alleanza con la Germania sostituendo Mussolini e avviando trattative di pace con gli anglo-americani.
La decisione del Gran Consiglio fu certamente presa anche in conseguenza dello sbarco degli alleati in Sicilia (10 luglio 1943, n.d.r.); tale evento rende meno salda la fiducia dei tedeschi nei confronti dell’alleato italiano e anche in patria si diffonde un senso di sconfitta.
Le difficoltà del paese, infatti, erano tante e tali da non potersi più nascondere come pure l’ondata di profondo malcontento che si stava levando in vari ambienti. Fu dunque in questo clima che si svolse la celebre seduta che mise la parola fine al regime fascista
Tutto ebbe inizio nel pomeriggio del quando il Gran Consiglio del fascismo si riunì per la prima volta dopo quattro anni.
Alla seduta, convocata alle ore sette del mattino in una Roma caldissima e afosa, parteciparono numerosi gerarchi, tra cui: Dino Grandi, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, il generale Emilio De Bono, Carlo Scorza, segretario del Partito fascista, il presidente dell’Accademia d’Italia Luigi Federzoni, Roberto Farinacci, Giuseppe Bottai e il genero del duce, Galeazzo Ciano.
Il primo intervento fu quello di Mussolini che evidenziò la disastrosa situazione militare italiana in seguito allo sbarco degli Alleati in Sicilia.
A seguire Dino Grandi presentò l’ordine del giorno in cui si accusava il regime fascista di aver compromesso gli interessi della nazione portandola sull’orlo della sconfitta.
Pertanto si chiedeva il ritorno allo Statuto Albertino e che il Re d’Italia riassumesse il comando militare. Il documento fu votato dalla maggioranza dei gerarchi presenti ed inchiodò Mussolini alle sue responsabilità mettendo fine al fascismo.
Per Mussolini il Re avrebbe dovuto respingere l’ordine del giorno di Grandi, “perché nessun fatto nuovo era intervenuto di natura tale da togliere al Re la fiducia in lui, che era, se mai, un generale sfortunato; che se il Re lo avesse invece accettato avrebbe posto il Capo del Governo nella condizione di lasciare il suo posto”.
Fu coinvolto persino il Vaticano messo al corrente della situazione da Alberto De Stefani, membro del Gran Consiglio del Fascismo, che subito dopo la votazione si era recato presso la santa Sede dal Segretario della Congregazione di Propaganda Fide, Celso Costantini che, dal canto suo, convocò immediatamente il Sostituto della Segreteria di Stato, G.B Montini, il futuro Paolo VI.
“Alla seduta — scrive Montini nel suo diario riportando le parole di De Stefani — era presente il Capo del Governo, che ha mostrato di non avere più il controllo della situazione, né di sé stesso”.
La ragione di questa visita svoltasi il 25 luglio subito dopo la caduta di Mussolini -insieme alla consegna della lista dei presenti e l’indicazione dei voti espressi individualmente che furono protocollati e acquisiti dalla Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari – sta nel fatto che secondo De Stefani, il Vaticano “avrebbe potuto intervenire a Washington e a Londra per conoscere le condizioni per l’uscita dall’Italia dalla guerra”.
In realtà, Roosevelt, Churchill e De Gaulle, riunitisi a Casablanca all’inizio del 1943, avevano già deciso per l’Italia l’unconditional surrender (resa senza condizioni, n.d.r.).
Da quel momento gli eventi si susseguirono vorticosamente: messe da parte ipotesi e speranze legate al mondo ecclesiastico, la giornata proseguì convulsa e nel pomeriggio il duce fu ricevuto a Villa Savoia da Vittorio Emanuele III che, nel frattempo. aveva accattato l’incarico.
In questa occasione Mussolini rassegnò le dimissioni da capo del governo.
All’uscita da Villa Savoia Mussolini fu prelevato da un gruppo di Carabinieri con un’ambulanza e condotto in una scuola allievi nel quartiere di Prati.
Quella stessa sera alle 22.45, il Re, annunciò alla radio che Benito Mussolini era stato destituito conferendo l’incarico di formare un nuovo governo al generale Pietro Badoglio.
La notizia esplose nel paese come un fulmine a ciel sereno: manifestazioni di gioia e i cortei spontanei applaudivano quel che si credeva fosse la fine della guerra.
Furono giorni intensi, inquieti, pieni di agguati, tradimenti e vendette.
In realtà, come disse Badoglio nel proclama, letto alla radio di lì a poco, “la guerra continua” ed infatti il nuovo governo si riunì il 27 luglio 1943 emanando una serie di provvedimenti, tra cui lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista e tutte le organizzazioni da esso dipendenti, come la Milizia e il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato.
Furono vietate inoltre tutte le manifestazioni e si faceva assoluto divieto ai cittadini di portare distintivi, ricostituire partiti politici per tutta la durata della guerra, esporre bandiere e riunirsi con più di tre persone.
La stampa invitava a tenere chiuse le finestre durante le ore di coprifuoco, i cinema erano chiusi e le strade deserte perché tutti cercavano notizie alla radio.
In questo clima cominciarono i cosiddetti 55 giorni del governo Badoglio a Salerno.
Con il giuramento nelle mani del Re, nella villa Episcopio di Ravello, nacque il primo Governo che si stabilì, poi, in Salerno presso l’attuale casa comunale.
Sede del Re e del governo Salerno divenne capitale d’Italia fino al 15 luglio 1944.
In questo contesto maturarono le premesse che porteranno il paese all’armistizio dell’8 settembre e all’inizio di un lungo periodo pieno di tristi accadimenti per tutti gli italiani.
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