Il presente articolo andrĂ a sinterizzare il decreto emanato dal Ministero della Giustizia (nella GU Serie…
Recovery Fund e Authority per il Mezzogiorno
(Approfondimento a cura del prof. Francesco Fimmanò)
La situazione drammatica prodotta dalla vicenda Covid è paragonabile solo a quella determinata dal secondo conflitto mondiale anche in termini di crollo del Pil e come in quel caso solo una reazione tempeÂstiva può evitare che la recessione divenga depressione. La Commissione rileva come lâimpatto negativo per lâeconomia dellâUE sia stato simmetrico, ma lâampiezÂza del rimbalzo sarĂ diversa a secondo della âresilienÂzaâ dei singoli Paesi collegata alla struttura di ciascuna economia e dalla capacitĂ di ognuna di rispondere con politiche e strategie di reazione e di stabilizzazione.
La resilienza in casi del genere è innanzitutto di tipo âcognitivoâ e richiede un contesto identitario in quanto occorre riadattare lâesperienza e la conoscenza consolidata. Si tratta della capacitĂ non tanto di resiÂstere alle deformazioni, quanto di capire come possano essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, scoprendo una dimensione che renda possibiÂle la propria struttura rendendola âinvulnerabileâ. Vi sono processi economici e sociali che, in conseguenÂza del trauma costituito da una catastrofe, cessano di svilupparsi restando in una continua instabilitĂ e, alle volte, addirittura collassano, estinguendosi; in altri casi, al contrario, sopravvivono e, anzi, proprio in conÂseguenza del trauma, con funzioni catartiche, trovano la forza e le risorse per una nuova fase di crescita e di affermazione in quanto capaci di programmare e gestiÂre la reazione e talora persino la mutazione genetica.
Questa capacitĂ di ârimbalzoâ di fronte alla inimÂmaginabile avversitĂ dipende dalle risorse organizzatiÂve, dalla tempestivitĂ , dalla interazione con lâambiente e dalla luciditĂ nel disvelare tutta la c.d. piramide degli eventi che hanno concorso a danneggiare il sistema, arÂrivando alla base e sanando non solo gli eventi anomali (generati dal Covid), ma anche quelli che potrebbero diventarlo. (1)
Orbene come accadde dopo il secondo conflitto mondiale solo un intervento straordinario pubblico efficiente può determinare una reale resilienza con un ruolo centrale del Mezzogiorno.
Quello realizzato allâepoca con successo scaturĂŹ da un modello teorico assolutamente originale, un paraÂdigma sperimentale con al centro la Banca Mondiale e le politiche di sviluppo internazionali (2) piĂš, allo scopo di predisporre i programmi, i finanziamenti e lâesecuzioÂne di opere straordinarie funzionali al progresso ecoÂnomico e sociale.
LâItalia, in quel periodo, è riuscita a realizzare una doppia convergenza sistemica, interna ed esterna e soÂprattutto tra nord e sud. La âCassa per Opere StraorÂdinarie di Pubblico Interesse nellâItalia Meridionaleâ, istituita con la legge 10 agosto 1950, n. 646 dal GoÂverno De Gasperi e concepita come un ente pubblico dotato di forte autonomia, ha costituito, insieme alla riforma agraria, il vero motore di quegli anni (3). NelÂle intenzioni, lâente intendeva ricalcare le agenzie di sviluppo locale avviate negli Stati Uniti dâAmerica duÂrante il New Deal (4), a cominciare dalla Tennessee Valley Authority.
Orbene oggi quel ruolo potrebbe essere rivestito da una AutoritĂ commissariale o da una partecipata funÂzionalizzata ad hoc.
Quel modello è stato il frutto di un indirizzo inÂterventista nellâeconomia, ma niente affatto statalista, in cui emergeva in primo piano il ruolo dellâazione pubblica nella programmazione e nella definizione dellâassetto dellâeconomia, come nel pensiero di John Maynard Keynes, con una specifica declinazione, riÂguardante lâimplementazione della capacitĂ produttiva e la crescita del sistema industriale in particolare nelle regioni meridionali.
Dal 1951 sino al 1992, lâintervento straordinario ha realizzato investimenti guarda caso per quasi 200 miliardi di euro (ai valori attuali). Gli investimenti della Casmez, il primo strumento attuativo dellâinÂtervento straordinario, hanno prodotto 16.000 km di strade, 23.000 km di acquedotti, 40.000 di reti elettriÂche, 1.600 scuole, 165 ospedali.
Il successo dellâiniziativa, tuttavia, fu il risultato del riconoscimento della reciprocitĂ degli interessi tra il Nord e il Sud nel senso della complementarietĂ del rispettivo sistema produttivo e dellâevoluzione del Mezzogiorno non solo in termini di sbocchi di merÂcato, ma di attivitĂ industriali diffuse, allâinterno di una triangolazione di convenienze tra gli Stati Uniti, lâItalia e il Mezzogiorno stesso. Ora come allora solo questa convergenza di interessi interna ed esterna con Europa, Stati Uniti e Cina può far funzionare il moÂdello.
Nellâepoca del miracolo italiano il turnaround ecoÂnomico è stato impressionante, gli investimenti induÂstriali nel Mezzogiorno sono cresciuti di due volte e mezzo (5) ed il tasso di crescita del PIL è stato costanteÂmente superiore di due punti percentuali rispetto alla media del Paese. Il sorpasso nei ritmi di crescita del Sud rispetto a quelli del resto del Paese era avvenuto in corsa durante un ciclo espansivo, quando solitamente le distanze si allungano, e aveva consolidato nella reciÂprocitĂ e nella convergenza lâintera struttura industriaÂle nazionale.
Il big push, la grande spinta alla crescita realizzaÂta attraverso gli ingenti investimenti infrastrutturali e produttivi non è stata completata specie per il subentro delle Regioni e lâavvio degli interventi a pioggia. E queÂsto errore del decentramento degli investimenti non deve essere ripetuto in questo caso.
Negli anni 70 si diffuse infatti una strategia imÂproduttiva, fondata sulla crescita locale non sistemica, con lâimpiego delle risorse secondo lo schema definito dagli osservatori della âpentola bucataâ (6), basti pensare alle leggi c.d. 64 e 488, ed allâutilizzo parziale e framÂmentario, privo di una strategia unitaria, dei âfondi europeiâ. Si tratta di forme di âintermediazione imÂpropriaâ (7), che hanno penalizzato e penalizzano il Paese nel suo complesso. La devoluzione di poteri a livelÂlo locale senza che vi fossero adeguate competenze, i localismi, le clientele, lâintermediazione impropria e lâambiente anche culturale non ha funzionato come nella versione centralista. Ă cosĂŹ peggiorata la goverÂnance complessiva nelle regioni meridionali, ma anche nel resto del Paese; la competitivitĂ oggi non è data da capitale e lavoro solamente, ma, oltre che da conoscenÂza e informazione, dalla produttivitĂ totale dei fattori, che a sua volta dipende da piĂš amministrazione effiÂciente, giustizia tempestiva, formazione di risorse umane di livello eccellente.
Si immagini che qualche anno fa a seguito della crisi del 2008 per il Fondo Monetario: ââŚil ritmo di crescita implica che lâattivitĂ produttiva tornerebbe ai livelli del 2007 soltanto alla metĂ degli Anni â20, alÂlargandosi cosĂŹ la forbice con la crescita media dellâarea dellâeuroâ. Ma le cose sono andate persino peggio delle previsioni, e ora del Covid, e di questo passo forse solo allâinizio degli Anni â30 ritorneremo al PIL del 2007. Per scongiurare tutto ciò e le immaginabili conseguenÂze occorrono poche e chiare linee di azione finalizzate a rilanciare lo sviluppo.
Con la riforma del titolo V del 2001 il MezzoÂgiorno è scomparso dalla Costituzione. Ad esso allude solo il quinto comma dellâarticolo 119 riformato, che attribuisce la potestĂ esclusiva dello Stato a destinare risorse aggiuntive per programmi straordinari di inÂtervento a favore della coesione sociale. Questo unico nesso specifico va inquadrato nella restante parte della riforma che garantisce il finanziamento integrale dei diritti essenziali (istruzione, sanitĂ , mobilitĂ ) su tutto il territorio nazionale. Di tutto questo poco è stato reÂalizzato, cosĂŹ siamo ben lungi dalla garanzia dei diritti fondamentali di cittadinanza sul territorio nazionale. Ciò, nonostante che, fin dal 2009, sia in vigore la legÂge 42 per lâattuazione del federalismo fiscale, che deve avere, come vedremo, un ruolo nella strategia e (8).
Un esempio è fornito dalla âperequazione infrastrutturaÂleâ prevista dalla legge, in gran parte disattesa e talora operante in senso opposto. Lâarticolo 7-bis della legge 27 febbraio 2017, n.18, tuttavia impegna il Governo ad una spesa in conto capitale nei territori pari alla quota della popolazione. In realtĂ con la clausola del 34% delle risorse ordinarie a favore del Mezzogiorno introdotta nella recente legge, anche se non compiutaÂmente applicata, si è fissato un orientamento di fondo, che permette oggi di destinare alle regioni meridionali, con un forte effetto perequativo, la quota â proporzioÂnale alla popolazione â delle spese in conto capitale delle amministrazioni centrali dello Stato. Nel periodo tra il 2000 e il 2016, tale quota di spesa ordinaria in conto capitale delle amministrazioni centrali è stata pari ad appena il 23%.
E la perequazione deve riguardare anche gli investiÂmenti delle grandi imprese pubbliche (di quelle poche rimaste dopo il disastro delle cosiddette privatizzazioni), di cui il Paese ha bisogno, accanto alle grandi mulÂtinazionali da attrarre, per funzionare da traino della piccola e media impresa.
Ă necessario dunque un pieno ritorno dellâinterÂvento pubblico, non di impianto statalista, ma basato su una armoniosa ed efficace combinazione di Stato e mercato, che ponga al centro degli obiettivi di strateÂgia industriale la funzione dellâimpresa, come soggetto storico e istituzione fondamentale dellâordinamento e del mercato.
Occorre dunque concentrare gli investimenti in un numero selezionato e contenuto di settori ed iniziative che possono fungere da locomotiva per lâintero sisteÂma nazionale, secondo una strategia unica nazionale.
Dâaltra parte lâintervento straordinario a cui abbiaÂmo fatto riferimento fu modellato sul New Deal (ÂŤnuoÂvo corsoÂť o letteralmente ÂŤnuovo contrattoÂť), ossia il piano di intervento promosso dal presidente statuniÂtense Roosevelt allo scopo di risollevare il Paese dalÂla grande depressione cominciata nel 1929 e sfociato nellâiniziativa della Tennessee Valley Authority (TVA), che era unâagenzia federale in qualche modo centraliÂsta, vista lâincapacitĂ periferica nella gestione della crisi e nellâimplementazione degli investimenti.
Dunque lâintervento deve essere dello Stato centraÂle e con pochi chiari obiettivi, senza interventi a piogÂgia ed integrarsi con le Regioni. Anzi tale intervenÂto deve a nostro avviso integrarsi con coordinamenti di piĂš Regioni che collaborino con lâAuthority per il Mezzogiorno.
E questo può essere fatto in virtĂš dello strumenÂto della cooperazione rafforzata fra le stesse ai sensi dellâart. 117, comma 8, cost., per il migliore esercizio delle proprie funzioni anche con individuazione apÂpunto di organi comuni rimanendo però autonome istituzionalmente e politicamente.
La questione è fondamentale perchĂŠ tra le cause purtroppo evidenti del declino della golden age vi è stato il decentramento funzionale ed il venir meno di una strategia unitaria nazionale. Ed occorre ripartire da lĂŹ con il supporto formidabile del Recovery found che rappresenta una opportunitĂ âcasualeâ ma decisiÂva: lâultimo treno possibile della nostra storia.
(1) Nella c.d. âPiramide degli erroriâ di Herbert William Heinrich (del 1931 e aggiornata da Frank E. Bird nel 1966) un incidente è solamente la punta della piramide di una serie molto piĂš numerosa di errori ed eventi anomali che hanno concorso nel tempo a danneggiare il sistema. Questo sta ad indicare che per ogni incidente ci sono stati migliaia di piccoli segnali che lo potevano preannunciare. A questo punto, vi sono due modi diversi (ed opposti) di affrontare il problema, e rispecchiano la natura in piĂš o meno resiliente di unâorganizzazione. Lâorganizzazione basata sulla âcultura della colpaâ è caratterizzata da un velo che oscura i rischi e gli eventi anomali manifestatesi nel tempo, lasciando scoperti solamente gli episodi piĂš gravi; è quindi un sistema che agisce soltanto quando lâincidente è avvenuto, ricercando i colpevoli.
Al contrario, lâorganizzazione resiliente toglie il velo e vede con limpiditĂ tutta la piramide degli eventi che hanno concorso a danneggiare il sistema, arrivando alla base e sanando non solo gli eventi anomali, ma anche quelli che potrebbero diventarlo.
(2) Cfr. A. Lepore, La Cassa per il Mezzogiorno e la Banca Mondiale: un modello per lo sviluppo economico italiano, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2013.
(3) Cfr. S. Cafiero, Storia dellâ intervento straordinario nel Mezzogiorno (1950-1993), Manduria, Lacaita, 2000.
(4) Cfr. P. Saraceno, La mancata unificazione economica italiana a cento anni dalla unificazione politica, in Id., Il nuovo meridionalismo, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1986, pp. 55-82.
(5) Cfr. A. Graziani, Mezzogiorno oggi, in Meridiana, n. 1, 1987, pp. 202 e 209-210.
(6) Cfr. R. De Bonis, Z. Rotondi, P. Savona, Sviluppo, rischio e conti con lâesterno delle regioni italiane. Lo schema di analisi della âpentola bucataâ, Roma-Bari, Laterza, 2010.
(7) Cfr. P. Barucci, Mezzogiorno e intermediazione ÂŤimpropriaÂť, Bologna, il Mulino, 2008.
(8) Cfr. A. Giannola, Sud dâItalia. Una risorsa per la ripresa, Roma, Salerno Editrice, 2015; Id., Politiche dello sviluppo per il superamento del dualismo economico, in L. Costabile, G. Lunghini, A.
Quadrio Curzio, A. Roncaglia, R. Scazzieri (a cura di) Gli economisti italiani. Protagonisti, paradigmi, politiche, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, Bardi Edizioni, 2015, pp. 235-254.
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