La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33230/2024, ha confermato la configurabilità di un concorso…
Strumenti ADR per la risoluzione alternativa delle controversie: l’ARBITRATO
La crescente difficoltà del sistema giudiziario di far fronte, in tempi e costi contenuti, alla richiesta di giustizia espressa dai soggetti economici che operano nel “mondo degli affari”, ha determinato il ricorso a sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR). Con questo argomento si vuole approfondire, senza pretesa di esaustività, l’analisi ad uno degli strumenti di risoluzione delle controversie: l’Arbitrato. Già, sulle pagine della nostra rivista abbiamo approfondito l’analisi di un altro strumento, ancora più “vantaggioso”: la mediazione civile e commerciale (di cui al D.Lgs. 28/2010).
Voglio sottolineare che in un passato recente, e precisamente nel 1998, in America viene modificato il TITOLO 28 DELLA CARTA DEI DIRITTI avente per OGGETTO la RISOLUZIONE DEI CONFLITTIdove per la prima volta viene stabilito “nero su bianco” che gli strumenti e le procedure ADR devono prevalere su qualsiasi procedura di contenzioso civile.
Da noi in Europa, invece, la normativa comunitaria prevede che «Gli Stati membri provvedano affinché la loro legislazione non ostacoli l’uso, anche degli strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie previsti dal diritto nazionale».
Lascio ai lettori il relativo commento!
Cos’è l’arbitrato
L’arbitrato è un procedimento alternativo per la risoluzione delle controversie disciplinato agli artt. 806 – 840 c.p.c. in cui la decisione viene rimessa dalle parti ad uno o più soggetti privati che si pronunciano con lodo.
Si tratta, più precisamente, di una deroga volontaria, in favore dell’autonomia privata, al principio generale secondo cui la giurisdizione è esercitata dalla magistratura.
Dicerso è l’ARBITRAGGIO cui all’art. 1349 c.c., che nulla centra con una modalità di risoluzione di una controversia tra le parti, ma riguarda il caso in cui, in sede di conclusione del contratto, le parti abbiano rimesso ad un terzo la determinazione della prestazione ivi dedotta.
Le materie arbitrabili
La possibilità di ricorrere alla procedura arbitrale, ancorché rimessa alla libera volontà delle parti, fa riferimento ai diritti disponibili, salvo limitazioni dettate dalla Legge. In generale, un diritto è ritenuto disponibile quando le parti possono rinunciarvi dal punto di vista sostanziale e processuale.
Una limitazione, per esempio, è quella in materia di lavoro (di cui all’art. 409 c.p.c.) che può essere decisa da arbitri solo se previsto dalla legge o dai contratti o dad accordi collettivi di lavoro.
La convenzione di arbitrato
La volontà delle parti di rimettere la decisione ad un terzo imparziale deve essere espressa per mezzo di un negozio giuridico chiamata convenzione di arbitrato o patto compromissorio, che può assumere la forma del compromesso o della clausola compromissoria.
Ai sensi dell’art. 807 c.p.c. il compromesso, ovvero il contratto con il quale le parti convengono di deferire la controversia tra le stesse già insorta, ad uno o più arbitri, deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità.
Secondo quanto previsto dall’art. 808 c.p.c., anche la clausola compromissoria deve essere pattuita in forma scritta.
Tale clausola, segnatamente, individua la pattuizione inserita in un contratto con cui le parti preventivamente si impegnano a risolvere per mezzo di arbitrato tutte le eventuali controversie aventi ad oggetto il medesimo contratto.
Tipologie di Arbitrato
In relazione all’efficacia del lodo, si distingue tra arbitrato rituale ed irrituale.
Nel primo caso (arbitrato rituale), disciplinato dall’art. 824-bis c.p.c., dalla data della sua ultima sottoscrizione da parte degli arbitri, gli effetti del lodo sono equiparati a quelli della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria.
Il lodo rituale, quindi, fa stato tra le parti ex art. 2909 c.c. e determina le preclusioni di cui all’art. 324 c.p.c.; nel secondo caso (arbitrato irrituale), invece, il lodo ha efficacia negoziale fra le parti.
A seconda, poi, del criterio di giudizio impiegato dagli arbitri per la risoluzione della controversia, viene in rilievo la distinzione tra arbitrato di diritto e di equità.
In generale, l’art. 822 c.p.c. prevede che gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti abbiano disposto con qualsiasi espressione che gli stessi pronuncino secondo equità.
Infine, con riferimento all’aspetto organizzativo e pratico, si parla di arbitrato ad hoc e amministrato.
L’arbitrato ad hoc, disciplinato dall’art. 816-bis c.p.c., si svolge secondo i criteri individuati dalle parti nella convenzione di arbitrato e le regole determinate dagli arbitri, nei limiti della legge.
L’arbitrato amministrato di cui all’art. 832 c.p.c. si svolge secondo regolamenti precostituiti di istituzioni arbitrali e sotto la supervisione delle stesse.
Gli arbitri
Gli arbitri cui viene deferita la decisione della controversia devono essere sempre in numero dispari secondo quando precisato dall’art. 809 c.p.c. Può trattarsi, quindi, di un solo arbitro o di un collegio composto da soggetti muniti della capacità legale di agire; se le parti non ne hanno indicato il numero nella convenzione di arbitrato e non si accordano in merito, gli arbitri sono tre.
Responsabilità dell’arbitro
L’arbitro, in ogni caso, è responsabile personalmente per i danni cagionati alle parti nelle ipotesi di cui all’art. 813-ter c.p.c., ovvero quando
- con dolo o colpa grave ha omesso o ritardato atti dovuti ed è stato perciò dichiarato decaduto, ovvero ha rinunciato all’incarico senza giustificato motivo;
- con dolo o colpa grave ha omesso o impedito la pronuncia del lodo entro il termine fissato a norma degli articoli 820 o 826. Fuori dai precedenti casi, gli arbitri rispondono esclusivamente per dolo o colpa grave entro i limiti previsti dall’articolo 2 commi 2 e 3, della legge 13 aprile 1988, n. 117.
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