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TFM: non applicabili le norme dettate per il TFR

Giornalista.
Dottore Commercialista, Revisore Legale e Mediatore Professionista.
Oltre all’attività “ordinaria” contabile e fiscale e di controllo di gestione, è specializzato in Consulenza su Operazioni di riorganizzazione e risanamento societario e di Tutela e protezione dei patrimoni personali. Inoltre è specializzato nella Difesa del contribuente durante tutte le fasi del contenzioso tributario.
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TFM Chiarimenti Fiscali

Si vuole tornare al tema del TFM (già trattato in precedenza, sempre sulle pagine del sito) per importanti sentenze su questo delicato tema. Precisamente si giunge alla conclusione, come già ben evidenziata, che l’accantonamento per il trattamento di fine mandato di amministratore (Tfm) è deducibile dal reddito della società senza alcuna limitazione.

A questo stesso accantonamento, infatti, non sono applicabili le limitazioni previste per la cessazione del rapporto di lavoro subordinato (Tfr). Queste sono le conclusioni che si leggono nelle sentenze n. 63/2020 emessa dalla sezione prima della Commissione tributaria provinciale di Lecco e nella sentenza della C.T. Reg. Piemonte n. 618/1/20.

È sempre più frequente la contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate circa l’indeducibilità pressoché totale della quota del TFM accantonata, perché ritenuta eccedenteall’importo stabilito dal legislatore in materia di TFR dettato dall’art. 2120 c.c. (“il trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5”).

Ribadiamo ancora che le norme sul TFR non possono essere applicabili come interpreta l’Agenzia sic et simpliciter, anche al TFM.

Le sentenze sopra richiamate, ancora una volta, respingono l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate che gli artt. 10  commi 1 e 4 e 17 comma 1 lett. c) del TUIR non istituiscono e non possono costituire un combinato disposto con l’art. 2120 c.c.!

I Giudici di secondo grado ritengono che lart. 105 co. 4 del DPR n. 917 del 1986 prevede che i commi 1 e 2 del medesimo articolo trovino applicazione anche agli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto previste, tra l’altro, dall’art. 17 comma 1 lett. c) del medesimo testo unico che disciplina le indennità per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, tra i quali si annoverano le indennità per cui è causa.

I citati commi 1 e 2 stabiliscono rispettivamente che tali indennità “1. … sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti stessi. 2 I maggiori accantonamenti necessari per adeguare i fondi a sopravvenute modificazioni normative e retributive sono deducibili nell’esercizio dal quale hanno effetto le modificazioni o per quote costanti nell’esercizio stesso e nei due successivi”.

Al proposito il giudice di legittimità ha ulteriormente precisato che il rinvio all’art. 17 co. 1 lett. c) TUIR implica, sempre ai fini della detrazione, che ne sia presupposto anche l’ulteriore circostanza, indicata appunto nel menzionato art. 17, che il “diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto” (in tal senso Cass. Sez. V 3.12.2019, n. 31473; idem Cass. 26431/2018).

Nessuna delle citate norme istituisce invece un “combinato disposto” con l’articolo 2120 c.c., che disciplina certo il TFR ma non il TFM (la cui disciplina si rinviene nelle apposite previsioni contrattuali, pure menzionate dall’art. 17 co. 1 TUIR) sicché l’applicazione dell’art. 2120 c.c. non è frutto di una interpretazione letterale bensì analogica e per di più ingiustificata perché volta a inserirsi quale parametro di regolazione in un ambito che non regola affatto e che ha una sua compiuta disciplina.

Vero è infatti che i redditi da collaborazione coordinata e continuativa sono, in linea di principio, assimilati ai redditi da lavoro dipendente dalla normativa fiscale (art. 50 co. 1 lett. c-bis) TUIR; per altro, secondo la stessa Agenzia delle entrate, circolare n. 105/E del 12.1.2001, tale assimilazione opera sempre che gli uffici svolti non rientrino nell’oggetto dell’arte o professione concernente redditi di lavoro autonomo esercitata dal contribuente ma non altrettanto vero è che sussista qualsivoglia previsione che rende applicabili i limiti di deducibilità previsti per il solo TFR anche al trattamento di fine mandato degli amministratori, che sconta una diversa disciplina contrattuali. Per di più il mancato richiamo a detti limiti, come visto, si verifica in un contesto in cui sussiste una positiva disciplina della deducibilità del TFM dettata, appunto, dagli articoli 105 e 17 del TUIR che, a tal fine, richiedono che l’indennità sia prevista da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto e che le deduzioni si applichino, in linea di principio, secondo il criterio di competenza.

In senso analogo si è espressa anche CTR Milano n. 5280/2018 secondo cui: “Il trattamento di fine mandato, diversamente dal trattamento di fine rapporto, “non è disciplinato da nessuna norma specifica, avendo natura pattizia, e ad esso, come anche per la parte non differita dei compensi degli amministratori, risulta dunque applicabile semplicemente il criterio di congruità e di ragionevolezza che si fonda sulla misura proporzionale ai compensi annualmente corrisposti. Tanto premesso, si deve qui ribadire che il legislatore non ha posto un tetto massimo di deducibilità dell’accantonamento periodico al fondo TFM e, tanto meno, ha disposto che l’accantonamento di cui si discute debba essere limitato al valore fisso convenzionale pari al numero di mensilità (13,5) a cui i lavoratori subordinati hanno diritto.”

Luca Santi
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