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Il linguaggio inclusivo, l’uso dello schwa e l’opera de “Il Sessismo nella lingua italiana”
La lingua è il mezzo più potente per condividere la propria visione del mondo. Negli ultimi anni, sulla scia di un dibattito internazionale sempre più attento ai problemi di genere, ci si è posti il problema di come rivolgersi alle persone che non appartengono al genere binario maschio/femmina. Tale questione, tutt’altro che banale, apre la strada ad una serie di implicazioni inaspettate: per esempio sul piano linguistico. Difatti, recentemente è divenuto molto attuale il dibattito sull’inclusività della lingua.
L’Oxford Languages ritiene che l’inclusività sia “la tendenza a estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto o la partecipazione a un sistema o a un’attività”: per estensione il linguaggio si può definire inclusivo quando aiuta le persone più deboli a fruire di diritti, oppure partecipare ad attività sociali che altrimenti resterebbero precluse.
In italiano e in tutte le lingue romanze il genere dei nomi, degli aggettivi e dei pronomi è binario (maschile/femminile) e quindi, quando indichiamo qualcosa o qualcuno di genere sconosciuto, o anche, quando ci riferiamo a insiemi comprendenti diversi generi, è d’obbligo adoperare il cosiddetto “maschile sovra esteso”.
Oggigiorno, però, le questioni relative al genere hanno assunto un’importanza sconosciuta in passato e per questo motivo sono ampiamente dibattute in tanti paesi, ed essendo il linguaggio un sistema dinamico per eccellenza, cambia continuamente. I cambiamenti che si stanno verificando sono la diretta conseguenza di importanti trasformazioni sociali e contribuiscono a rendere l’inclusività, e la parità di genere, argomenti sempre più centrali nel mondo di oggi.
La polemica, non solo linguistica, si palesò nel mondo accademico fin dagli anni ottanta, quando la nota saggista e linguista Alma Sabatini, nel suo “Il Sessismo nella lingua italiana”, lavoro voluto dalla Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità, analizzò le prassi della grammatica italiana evidenziando il sessismo insito nel linguaggio istituzionale e di potere. Molte furono le critiche rivolte alla Sabatini, una su tutte quella di Pietro Citati che definì l’opera “uno dei grandissimi capolavori comici della letteratura italiana”.
Va detto, a tal proposito, che negli ultimi anni il nostro Paese ha compiuto passi in avanti, per cercare di rendere più inclusivo il linguaggio, sebbene lo spazio dato al maschile sia ancora molto ampio. In anni più recenti (2017), invece, gli intellettuali francesi hanno sottoscritto un Manifesto per introdurre nella lingua scritta alcuni accorgimenti “inclusivi”. Fra questi accorgimenti spicca, per esempio, l’abolizione della “regola di prossimità”, in base alla quale l’aggettivo concorda sempre con il genere del sostantivo a lui più vicino.
L’obiettivo primario, della scrittura inclusiva, è quello di rendere le donne più evidenti all’interno delle opere scritte, contribuendo così a stimolare le bambine a tirare fuori le proprie capacità.
La lingua declinata al maschile, infatti, è tipica delle società patriarcali e, sia pur implicitamente, contribuisce a comunicare il minore valore delle donne e rendere secondario il loro ruolo in tutti i campi. Una lingua scritta inclusiva, dunque, concorre a corregge tali disuguaglianze e sostiene le donne nella ricerca di lavori più appaganti e ambiziosi.
Ma che cosa si intende veramente per linguaggio inclusivo?
Il linguaggio è inclusivo quando è privo di parole, frasi o toni discriminatori verso determinati individui o gruppi di persone: un testo è inclusivo quando non rafforza stereotipi e non discrimina gli individui in base all’età o alle abilità.
Lo “Schwa” (si legge scevà) è la soluzione pensata per rendere la lingua italiana inclusiva. Il suo simbolo nell’alfabeto fonetico è “Ə”: si tratta di un suono vocalico che non corrisponde a nessun fonema, e non fa parte del nostro alfabeto perché è un suono neutro, non presenta accento o tono. A causa di questa sua scarsa sonorità è posizionato dall’alfabeto fonetico internazionale (AFI) al centro dello schema vocalico. E’ molto diffuso in inglese, ma anche in diversi dialetti italiani, e serve per abolire il plurale maschile quando occorre definire un gruppo eterogeneo di persone.
La proposta, di utilizzare lo “Ə” nella lingua italiana risale al 2015, anno in cui l’attivista per i diritti umani Luca Boschetto, appassionato di linguistica avviò, per il tramite del suo sito, il progetto “Italiano Inclusivo”; il progetto, contiene ricchi di spunti di riflessione e mette in evidenza le ragioni che dovrebbero indurci ad introdurre lo schwa nella nostra lingua. Anche la studiosa Vera Gheno, sociolinguista e traduttrice, autrice di “Potere alle parole” e “Femminili singolari”, ha sostenuto con forza l’importanza di introdurre lo schwa nella lingua scritta, al fine di favorire l’inclusività e il gender-neutral, nella comunicazione scritta.
L’introduzione dello Ə incide non soltanto nell’ambito linguistico ma anche nel campo della comunicazione digitale, e deve costantemente evolversi tenendo conto dei cambiamenti e delle nuove esigenze della popolazione.
Le sfide, legate al tema dell’accessibilità tecnologica rappresentano, al momento, un ostacolo di non poco conto per ritenere questa soluzione realmente inclusiva: nel momento in cui lo schwa si scriverà con facilità, utilizzando le tastiere dei nostri dispositivi, sarà diventato davvero inclusivo. Lo schwa appare di difficile realizzazione anche nella scrittura corsiva a mano, e ancor più nella lingua parlata, poiché è inesistente nel cosiddetto italiano standard.
Dal canto suo, l’Accademia della Crusca, si è espressa in modo deciso in un lungo post sul suo blog, a cura del linguista Paolo D’Achille che, a nome di tutti gli studiosi, evidenzia che la posizione dell’Accademia è finalizzata esclusivamente alla salvaguardia della lingua italiana e della sua ortografia, senza per questo voler mancare di rispetto a coloro i quali si sentono non binari.
Queste le sue parole: “Non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo. […] L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”. Anche l’utilizzo del genere neutro non è accettabile perché “l’italiano, diversamente dal latino, non dispone di elementi morfologici che possano contrassegnare un genere diverso dal maschile e dal femminile”. Anche in altre nazioni europee il dibattito sulla lingua è molto acceso. A tal proposito ricordiamo la posizione della Svezia dove, nel 2015, l’Accademia della lingua che si occupa di aggiornare ogni dieci anni il dizionario, ha introdotto l’utilizzo del pronome “hen” di genere neutro. Nella lingua inglese, invece, il famoso vocabolario “Merriam-Webster” ha introdotto, nel 2019, il pronome “They” da utilizzare quando ci si vuole riferire alle persone non binarie. La Germania, invece, ha deciso di utilizzare il linguaggio neutro nelle comunicazioni ufficiali, mentre la Spagna ha ufficializzato i simboli “-@” e della lettera “-x” al posto del maschile generalizzato.
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