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La deroga al divieto di assumere il ruolo di difensore nella liquidazione giudiziale
Nell’ambito delle funzioni attribuite al Curatore rientrano quelle espressamente declinate all’interno dell’art. 128 del D.Lgs. 14/2019 che, in larga parte, replicano quanto già presente nel previgente articolo 31 del R.D. 267/42 con alcune importanti eccezioni. In linea generale è previsto, in dichiarata continuità con il riformato impianto, che “il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano la liquidazione giudiziale”; tuttavia, su detto consolidato impianto la riforma ha inciso con due innesti di diversa portata. Il primo, frutto dell’intervento del decreto correttivo, prevede uno specifico inciso secondo il quale “La nomina dei difensori spetta al curatore”, con una disposizione non nuova e che risponde, come da indicazioni della Relazione Illustrativa, alla sola esigenza di prevenire “ogni incertezza interpretativa”. Di maggior rilievo è, invece, la novità che prevede l’eccezione al divieto di cui sopra, rinvenibile nella possibilità di “assumere la veste di difensore, se in possesso della necessaria qualifica, nei giudizi avanti al giudice tributario quando ciò è funzionale ad un risparmio per la massa”.
Il tema è delicato e per comprenderne l’effettiva portata è necessario partire dalla regola generalizzata del divieto, soffermandosi sulle motivazioni ad essa sottese. Già nel precedente sistema si era obiettato che la ratio della norma era finalizzata ad evitare che il Curatore potesse essere indotto a promuovere giudizi in modo speculativo, con l’obiettivo di poter lucrare ulteriori compensi in qualità di difensore. Una previsione che, a ben vedere, mirava, e mira tuttora, ad evitare in radice situazioni “patologiche” e che si risolve nell’introduzione di una limitazione atta, da un lato, a garantire la separazione tra le funzioni gestorie ed i compiti di difensore; e dall’altro, a consentire un effettivo e libero controllo da parte del curatore sulle attività del legale .
In questo contesto si innesta la particolare e non condivisibile scelta del Legislatore di consentire, in deroga, l’assunzione personale dell’incarico di difensore nei giudizi che interessano la sola materia tributaria, con la seguente motivazione che si rinviene nel testo della relazione illustrativa: “Si è inteso in questo caso tener conto del fatto che si tratta di giudizi per i quali è importante una compiuta conoscenza della situazione contabile e delle vicende economiche dell’impresa. La scelta di non avvalersi di un difensore terzo ha comunque come presupposto che essa contribuisca a ridurre i costi della procedura e cioè che essa sia funzionale ad un risparmio per la massa”.
Sarebbero, allora, sostanzialmente due i motivi astrattamente capaci di superare il generalizzato divieto, ovvero la conoscenza da parte del curatore delle vicende pregresse dell’impresa, in uno alla funzionalità al risparmio per la massa; argomentazioni che, per vero, non paiono adatte a superare le criticità già evidenziate.
Quanto al primo aspetto non si intravede nessuna particolare ragione atta a differenziare in maniera sostanziale il giudizio tributario da quello ordinario. Ogni contenzioso che involga la difesa delle ragioni della curatela impone una necessaria conoscenza dell’impresa; anzi, volgendo lo sguardo, ad esempio, alle azioni di responsabilità o alle azioni revocatorie ancor più pregnante, rispetto ad un contenzioso tributario, appare lo studio delle operazioni (contabili ed economiche) poste in essere dall’imprenditore. La motivazione è, dunque, francamente troppo debole e l’insolita “apertura” del Legislatore sembrerebbe addirittura “incentivare” il contenzioso tributario, con il rischio di indurre il Curatore a tentare comunque una difesa tributaria da lui stesso patrocinata con l’aspettativa di guadagnare l’ulteriore onorario.
Ciò introduce l’altro tema rilevante e non sufficientemente chiarito del diritto al compenso che, se ben sistematicamente interpretato, potrebbe, forse, contribuire a riassettare la nuova disposizione. Se, infatti, il “risparmio per la massa” viene inteso come esclusione del compenso per la difesa, la norma tenderebbe a riallinearsi; e, a ben vedere, questa sembrerebbe l’unica lettura davvero organica, considerato che solo l’assenza di compenso per l’attività contenziosa a svolgersi potrebbe rimuovere il denunciato interesse conflittuale. E qui ben potrebbe prevedersi un bilanciamento del maggior impegno richiesto al Curatore utilizzando il meccanismo di graduazione del compenso ex D.M. 30/2012, come noto influenzato dalla bontà “dell’opera prestata e dei risultati ottenuti”, ovviamente nei limiti di quanto si potrebbe riconoscere al difensore “terzo”.
Volendo immaginare una diversa chiave di lettura si potrebbe pensare che la limitata attività processuale, tipica del contenzioso tributario, abbia indotto il Legislatore a “declassare” ad un rango minore la lite tributaria, lasciando la possibilità di farla gestita in proprio dal Curatore. Ciò imporrebbe un supplementare compenso che, seppur calmierato, non potrebbe che trovare la fonte nei rispettivi “parametri professionali”. Tuttavia, così interpretando, non si riuscirebbe comunque a superare la problematica della mancata vigilanza sull’operato del curatore che assuma anche la veste di difensore.
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