Il DL 7 maggio 2024, n. 60, noto come decreto "Coesione" entrato in vigore l’8.5.2024, giorno…
La pendenza delle liti passive e la chiusura della procedura
La norma relativa alla chiusura delle procedure fallimentari, declinata all’art. 118 RD 267/42, è stata, con l’intervento di riforma di cui all’art. 7 del D.L. 83/2015, notevolmente incisa con la finalità di eliminare quei vincoli che costituivano impedimento ad una più rapida definizione del procedimento concorsuale. Il che ha, forse inconsapevolmente, sollecitato un rinnovato interesse anche per le cd “ liti passive” con un’attenzione che, però, non trova piena giustificazione atteso che, a ben vedere, il sistema regolatore della chiusura delle procedure in pendenza di soli contenziosi passivi era già pienamente strutturato ed operante.
Isolando, dunque, questa singola problematica si tratta qui di comprendere se, e a quali condizioni, il fallimento possa essere chiuso in presenza di contenziosi in cui il Curatore è parte legittimata passiva, dovendo necessariamente partire dalla distinzione che esiste tra i giudizi di opposizione ex art. 98 L.Fall che beneficiano dell’accantonamento e quelli che, invece, non se ne possono giovare.
Quanto alla prima categoria, un primo indirizzo dottrinale aveva ritenuto che, per effetto del coordinamento delle disposizioni di cui agli artt. 113 e 117 L.Fall., la pendenza di impugnazioni avverso i provvedimenti di accertamento del passivo sarebbe stata ostativa alla chiusura. Adducendo, a sostengo della singolare tesi, che se a norma dell’art. 113 L.Fall. nelle ripartizioni parziali, “devono essere trattenute e depositate”, vale a dire “accantonate”, le quote assegnate ai creditori e, poi, come dispone l’art. 117, co. 2, primo periodo L.Fall., tali accantonamenti ”vengono distribuiti” nel riparto finale, ciò significa che non può farsi luogo alla chiusura se prima non si è pervenuti alla decisione sui crediti dalla quale dipende la sorte dei medesimi accantonamenti disposti nelle distribuzioni parziali.
Altra parte della dottrina (CNDEC – La chiusura del fallimento dopo la riscrittura dell’art. 118 l. fall. riflessioni e suggerimenti operativi) e la prassi giudiziaria (Circolare Tribunale Vicenza 02.11.2020), valorizzando, invece, l’inciso finale dell’art. 117 L.fall., hanno condivisibilmente ritenuto che, pur dovendo procedere obbligatoriamente ai necessari accantonamenti di legge (ove, ovviamente, ne ricorrano i presupposti), è sempre possibile, in presenza di tali accantonamenti, effettuare ugualmente la chiusura della procedura, salvo la predisposizione di un deposito vincolato in favore degli aventi diritto.
Più complessa è la sorte di quei giudizi che non beneficiano di un accantonamento ex lege, Un risalente indirizzo di legittimità (Cassazione 24.03.1993 n° 3500), ma ancora pienamente richiamato dalla dottrina, ritiene che, malgrado la pendenza del giudizio di opposizione, si debba procedere alla ripartizione finale senza tener conto del credito dell’opponente, non avendo costui, per essere stato escluso, alcun titolo per partecipare alla distribuzione e non potendosi disporre in suo favore alcun accantonamento; di più ritenendo che non vi sia alcuna facoltà discrezionale riservata agli organi fallimentari di protrarre la procedura differendone la chiusura (Cassazione 26.09.2006 n. 26927).
Certo è che tale orientamento deve trovare oggi un necessario contemperamento nella norma recata dall’art. 110 L.Fall., in particolare nella parte in cui, introducendo il sistema delle plurime richieste di fideiussioni (in argomento si veda “Interrogativi aperti sul riparto fallimentare con creditori opponenti” in questa rivista 02.07.2020), di fatto “ingessa” il sistema delle ripartizioni nelle ipotesi di presenza di creditori opponenti generando, di fatto, un accantonamento non tipizzato (Tribunale di Modena 03.04.2017).
Potendo così immaginare una diversa chiave di lettura che preveda, in mancanza di deposito delle fideiussioni, un accantonamento (per vero irrituale ma necessitato dal contorto meccanismo creatosi) pari all’importo contestato, così da consentire la chiusura della procedura (per di più valorizzando il potere di accantonamento generico in ogni caso riservato al Giudice Delegato richiamando i principi di Cassazione 31 luglio 2018 n° 20225).
Rilevando, incidentalmente, l’ulteriore problematica dei giudizi pendenti in Cassazione ex art. 99 L. Fall. che una recente giurisprudenza di merito (Trib. Civitavecchia, 8 Gennaio 2019) tende a ritenere non inclusi nella disposizione di cui all’art. 110 L.Fall. “posto il carattere eccezionale della norma” e “l’assenza di eadem ratio“; non sottacendo orientamenti variegati e difformi presenti nel già richiamato studio del CNDCEC (p.17).
Né pare, infine, che tale ricostruzione possa trovare ostacoli in una pur adombrata perdita di legittimazione passiva del Curatore a seguito del provvedimento di chiusura, laddove si valorizzi lo stretto ed intimo collegamento tra l’accantonamento ed il giudizio da cui lo stesso trae origine; consentendo, così, di ricavare una deroga all’improcedibilità e riconoscendo un’ultrattività degli organi seppur limitatamente a detti contenziosi. Del resto una diversa interpretazione renderebbe fin troppo evidente il contrasto con l’analoga disposizione che riconosce, ex art. 120 L.Fall., la legittimazione processuale del Curatore nei giudizi c.d. attivi.
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