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La svalutazione delle immobilizzazioni materiali ed immateriali

Giornalista.
Dottore Commercialista, Revisore Legale e Mediatore Professionista.
Oltre all’attività “ordinaria” contabile e fiscale e di controllo di gestione, è specializzato in Consulenza su Operazioni di riorganizzazione e risanamento societario e di Tutela e protezione dei patrimoni personali. Inoltre è specializzato nella Difesa del contribuente durante tutte le fasi del contenzioso tributario.
E-mail: luca.santi@studiosanti.it

La svalutazione delle immobilizzazioni materiali ed immateriali

L’articolo 2364 cc per le Spa e le Sapa e l’art. 2478-bis comma 1 c.c. per le srl stabiliscono che le società devono presentare il bilancio nei termini previsti dallo statuto e comunque non oltre centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale.

È prevista anche la possibilità di un maggior termine ma comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all’oggetto della società.

Quest’ultimo termine è stato più che mai “confermato” con il D.L. 18/2020 (c.d. “Cura Italia”) che all’articolo 106 prevede sia la proroga dei termini per l’approvazione del bilancio 2019, che la possibilità di svolgere le assemblee mediante mezzi di telecomunicazione.

Per le società con esercizio sociale non coincidente con l’anno solare, l’evento “coronavirus” rientra nell’esercizio e pertanto deve essere considerato in sede di chiusura di bilancio.

Il presente intervento vuole richiamare all’attenzione dei redattori di bilancio il principio contabile OIC 9 rubricato “Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali”.

OIC 9: Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali

L’ultima revisione del principio oggetto di analisi è avvenuta con la revisione del 2016 che ha portato all’uscita definitiva del principio nel dicembre dello stesso anno.

Il principio contabile OIC 9 ha lo scopo di disciplinare il trattamento contabile e l’informativa da fornire nella nota integrativa per le perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali ed immateriali.

Il tema della perdita durevole di valore delle immobilizzazioni e, quindi, della necessaria svalutazione era già trattato all’interno del principio contabile OIC 16 rubricato “le immobilizzazioni materiali” e all’interno del principio contabile OIC 24 “le immobilizzazioni immateriali”.

Dopo le modifiche l’argomento “guadagna” autonoma dignità ed importanza.

CODICE CIVILE

Riferendosi al tema “svalutazioni”, occorre senza dubbio partire dal dettato normativo, vale a dire dall’articolo 2426 cc comma 1 n.3 che detta: “l’immobilizzazione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minor valore; questo non può essere mantenuto se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata”.

In sostanza, per il rispetto della clausola generale della rappresentazione veritiera e corretta, le immobilizzazioni (materiali e/o immateriali) che alle fine dell’esercizio (il 31.12 per le società che hanno l’esercizio fiscale coincidente con l’anno solare) risultino essere di valore inferiore al principio del costo (numero 1) art. 2426 cc), al netto degli ammortamenti (numero 2) art. 2426 cc) devono essere svalutate ed iscritte in bilancio al loro valore effettivo. Dunque si tratta di un obbligo di svalutazione e non di una scelta.

L’articolo 2426 cc stabilisce, inoltre, che la svalutazione non può essere mantenuta in bilancio se vengono meno i motivi della rettifica effettuata.

In questo caso l’immobilizzazione dovrà essere rivalutata, eliminando di fatto gli effetti della precedente svalutazione: ciò darà luogo all’iscrizione di un provento straordinario nel conto economico (si veda nello specifico il paragrafo sugli aspetti contabili) riallineando, di fatto, il valore nel limite della svalutazione operata.

VERIFICA DELLA NECESSITÀ DI SVALUTARE e Determinazione del VALORE EQUO e D’USO

Il nuovo principio contabile OIC 9 si sofferma su due argomenti sostanziali:

  • Determinazione degli elementi al verificarsi dei quali è necessario constatare se esiste perdita durevole di valore e, quindi, procedere ad una svalutazione;
  • Individuazione dei metodi (ordinario e semplificato) per poter quantificare tali svalutazioni.

Quindi, il principio contabile OIC 9 individua il principio logico che funge da base per la verifica dell’importo da svalutare. Più precisamente, se il valore recuperabile di un’immobilizzazione è inferiore al suo valore contabile, l’immobilizzazione deve svalutarsi a tale minore valore.

In pratica se il valore contabile (costo storico al netto degli ammortamenti) di un’immobilizzazione è inferiore al valore recuperabile, occorre svalutare.

VALORE CONTABILE > VALORE RECUPERABILE = SVALUTAZIONE

Ora il VALORE RECUPERABILE è il maggiore fra il VALORE EQUO (fair value) e il VALORE D’USO.

Il valore equo è l’ammontare ottenibile dalla vendita di un’attività in una transazione ordinaria tra operatori di mercato alla data di valutazione. La migliore evidenza del valore equo di un’attività è il prezzo pattuito in un accordo vincolante di vendita stabilito in una libera transazione o il prezzo di mercato in un mercato attivo. Se non esiste un accordo vincolante di vendita né alcun mercato attivo per un’attività, il valore equo è determinato in base alle migliori informazioni disponibili per riflettere l’ammontare che la società potrebbe ottenere, alla data di riferimento del bilancio, dalla vendita dell’attività in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili. Nel determinare tale ammontare, la società considera il risultato di recenti transazioni per attività similari effettuate all’interno dello stesso settore industriale. Ai fini della determinazione del valore recuperabile, al valore equo sono sottratti i costi di vendita.

Sul punto la FNC nella circolare del 15 marzo 2015 osserva che il fair value del Principio rappresenta (al pari del fair value degli IFRS) un market value”, come già evidenziato dagli Standard di valutazione internazionali (International Valuation Standards) e nazionali (Principi Italiani di Valutazione). In linea teorica, quindi, Il fair value identifica l’ipotetico prezzo di cessione (“exit price”), ossia il valore attribuito al bene da soggetti terzi all’impresa, mentre il valore d’uso rappresenta un valore specifico della società che effettua la valutazione (“entity specific value”). Il fair value dovrebbe essere un valore verificabile e, quindi, principalmente collegato all’esistenza di un mercato realmente esistente.

La determinazione quantitativa del fair value è su un sistema a tre livelli:

  1. La migliore evidenza del fair value sia data dalla presenza di un accordo vincolante di vendita;
  2. Se non esiste un accordo vincolante, è richiesto di verificare l’esistenza di un prezzo di mercato in un mercato attivo;
  3. In ultimo, in mancanza di tali input, l’OIC 9 prevede di determinare, se possibile, il fair value in base alle migliori informazioni disponibili come “l’ammontare che la società potrebbe ottenere, alla data di riferimento del bilancio, dalla vendita dell’attività in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili”. È utile osservare che solitamente la prassi esclude dal concetto di “parti consapevoli e disponibili” le cosiddette parti correlate, ossia quei soggetti che, in virtù dei loro rapporti con la società, potrebbero concludere le operazioni effettuate con le stesse a condizioni non di mercato.

Il valore d’uso può essere determinato in modo diverso a seconda del tipo di società che deve effettuare i calcoli: a seconda se si tratti di grandi impresa occorrerà verificare e quindi stimare la capacità di generare flussi di cassa attesi della singola business unit ovvero, se si tratta di PMI verificando quindi la capacità di assorbire gli ammortamenti su un orizzonte temporale di massimo 5 anni.

Confronto fra:

VALORE CONTABILE E VALORE RECUPERABILE > fra VALORE EQUO e VALORE D’USO.

Pertanto le imprese di minori dimensioni possono scegliere di utilizzare un metodo semplificato per la determinazione del valore d’uso. Quest’ultime sono le società che per due esercizi consecutivi non superano nel proprio bilancio d’esercizio due dei tre seguenti limiti:

  • Numero medio dei dipendenti durante l’esercizio superiore a 250,
  • Totale attivo di bilancio superiore a 20 milioni di euro,
  • Ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 40 milioni di euro,

hanno l’opzione di non applicare i paragrafi da 12 a 24 e di adottare un approccio alla determinazione delle perdite durevoli di valore basato sulla capacità di ammortamento.

Non è sempre necessario determinare sia il valore equo (o fair value) di un’attività sia il suo valore d’uso. Se uno dei due valori risulta superiore al valore contabile, l’attività non ha subito una riduzione di valore e, dunque, non è necessario stimare l’altro importo. Se vi è motivo di ritenere che il valore equo approssimi il valore d’uso non è necessario procedere alla stima di quest’ultimo.

Essendo infatti riferito al maggiore fra il valore equo ed il valore d’uso, è necessario che uno dei due sia superiore al valore contabile, affinché l’immobilizzazione non debba essere svalutata.

Se la società ritiene che il bene, sebbene con un valore d’uso inferiore al valore contabile, possa essere venduto sul mercato ad un valore uguale (o superiore) al residuo contabile, non occorre assolutamente procedere ad alcuna svalutazione. In quest’ultimo caso, l’OIC 9 dispone che non è nemmeno necessario calcolare il valore d’uso. Ovviamente occorrerà inserirne menzione in Nota Integrativa, come si vedrà meglio nel proseguo.

ESEMPIO 1 (importi da esempio circolare FNC pag. 10)

La Società Alfa ha un impianto avente un costo storico di €280.000 e un fondo ammortamento di €160.000. Il valore d’uso è pari a €108.000.

Esiste un offerta di vendita vincolante che risulta valida alla data di riferimento del bilancio per €125.000. L’offerta di vendita –considerata in linea con gli orientamenti del mercato‐ presenta costi di dismissione in capo a Gamma per €10.000 per costi di bonifica.

Pertanto abbiamo:

  • Valore netto contabile = €120.000
  • Valore D’uso = € 108.000
  • Valore Equo = €115.000: il valore equo deve essere quantificato al netto degli eventuali costi che la società potrebbe dover sostenere per la dismissione del cespite
  • Valore recuperabile (maggiore fra il valore equo e il valore d’uso) = €115.000; essendo quindi il valore contabile (€ 120.000) maggiore del valore recuperabile la società dovrà procedere ad una svalutazione di € 5.000.

Riepilogando, quindi, il valore d’uso può essere calcolato in due modi applicando la tecnica della capacità di ammortamento oppure quella dell’attualizzazione dei Flussi finanziari.

Approccio semplificato: modello basato sula capacità di ammortamento

Questo approccio è di gran lunga il più utilizzato, in considerazione del tessuto industriale del nostro Paese. L’OIC sottolinea come:

l’approccio semplificato condivide le stesse basi concettuali fondanti del modello di base, e la sua adozione si giustifica nel presupposto che, per le società di minori dimensioni, i risultati ottenuti divergono in misura non rilevante da quelli che si sarebbero ottenuti applicando il modello base.

Le assunzioni fondamentali del modello semplificato sono le seguenti: a) l’unità generatrice di cassa, nelle società di minori dimensioni, tende a coincidere con l’intera società; b) i flussi di reddito, se la dinamica del circolante si mantiene stabile, approssimano i flussi di cassa.

Al ricorrere di queste due condizioni, l’approccio semplificato, che basa la verifica della recuperabilità delle immobilizzazioni sui flussi di reddito prodotti dall’intera società, senza imporre la segmentazione di tali flussi per singola immobilizzazione/UGC, tende a fornire risultati simili all’approccio benchmark.

Qualora la condizione di cui alla lettera a) non sia soddisfatta, si raccomanda comunque di effettuare la verifica della recuperabilità dei cespiti per singoli rami d’azienda.

La capacità d’ammortamento deve essere verificata lungo un orizzonte temporale definito che non dovrebbe superare “generalmente” i 5 anni.

Sul punto la FNC osserva che “è importante evidenziare che qualora al termine del periodo temporale considerato, si supponga esista ancora un valore economico significativo delle immobilizzazioni, tale valore concorre alla determinazione della capacità dammortamento”.

Il paragrafo 29 dell’OIC 9 dispone che il valore in parola sia determinato “sulla base dei flussi di benefici netti che si ritiene l’immobilizzazione possa produrre negli anni successivi all’ultimo anno di previsione esplicita”. Tale considerazione rileva in particolar modo per quelle immobilizzazioni che presentano una vita utile che supera la data ultima prevista dal piano per la verifica della riduzione durevole di valore.

Di seguito lo schema di Conto economico (Ce) “rivisto” ad uso della verifica per la capacità di ammortamento:

Valore della produzione (AREA A – Conto Economico CE)

– Costi della Produzione (AREA B CE al netto ammortamenti)

– Oneri e componenti finanziarie (AREA C + D CE)

– Imposte dell’Esercizio corrente (voce 22 CE)

= capacità di ammortamento

Approccio Ordinario: modello basato sull’attualizzazione dei flussi di cassa

Il calcolo del valore d’uso con la tecnica dell’attualizzazione dei flussi finanziari comprende le seguenti fasi:

  1. stimare i flussi finanziari futuri in entrata e in uscita che deriveranno dall’uso continuativo dell’attività e dalla sua dismissione finale,
  2. applicare il tasso di attualizzazione appropriato a quei flussi finanziari futuri.

Al punto 19 l’OIC specifica che al fine di determinare il valore d’uso, le stime dei flussi finanziari futuri comprendono:

  1. le proiezioni dei flussi finanziari in entrata derivanti dall’uso continuativo dell’attività;
  2. le proiezioni dei flussi finanziari in uscita che si verificano necessariamente per generare flussi finanziari in entrata dall’uso continuativo dell’attività (inclusi i flussi finanziari in uscita per rendere l’attività utilizzabile) e che possono essere direttamente attribuiti o allocati all’attività in base a un criterio ragionevole e coerente;
  3. i flussi finanziari netti, se esistono, che si prevede di ricevere (o erogare) per la dismissione dell’attività alla fine della sua vita utile, in una transazione regolare tra operatori di mercato alla data di valutazione.

La società utilizza i piani o le previsioni approvati dall’organo amministrativo più recenti a disposizione per stimare i flussi finanziari. In linea tendenziale, tali piani non superano un orizzonte temporale di cinque anni.

La stima dei flussi finanziari futuri non include:

  • i flussi finanziari in entrata o in uscita derivanti da attività di finanziamento. In sostanza, l’attualizzazione identifica tali valori in un’ottica asset side, ossia –a differenza di quanto avviene per la capacità di ammortamento- al netto degli oneri finanziari;
  • pagamenti o rimborsi fiscali, ossia al netto della gestione tributaria.

Non sono considerati, anche per l’attualizzazione dei flussi finanziari, gli investimenti futuri (per esempio, ristrutturazioni, miglioramenti od ottimizzazioni) per i quali la società non si sia già obbligata.

Per la determinazione del tasso di attualizzazione si rimanda alla circolare FNC (pag. 18) riportando comunque quanto segue:

Il tasso di attualizzazione usato ai fini del calcolo del valore:

  • – è a differenza di quanto previsto per la capacità dammortamento- al lordo delle imposte;
  • si compone di un elemento rappresentativo del valore temporale del denaro (free-risk rate) e di una componente rappresentativa dei rischi specifici (premium risk).

L’OIC non esplicita, in linea con l’impostazione basata sui principi generali (principles based), elementi operativi di determinazione quantitativa dei valori. In questa visione, non fornisce neanche indicazioni sulle tecniche estimative del tasso di attualizzazione da adottare. Questo può essere identificato con il costo medio ponderato del capitale (Weight Average Cost of Capital o anche WACC). Senza soffermarsi oltremodo sulle tecniche valutative, si riporta la formula di determinazione del WACC:

WACC = Ke * PN/(PN+D) + Kd (1 – t) * D/(D+PN)

laddove:

– Ke = Costo dei mezzi propri

– PN = Patrimonio netto

– D = Debito

– Kd = Costo del debito

– t = Aliquota fiscale

Il costo del capitale (Ke) è, poi, solitamente espresso per mezzo della formula base del Cost of Asset Pricing Model (CAPM):

Ke = Rf + β * (Rm Rf)

laddove:

– Rf = tasso corrente di interesse privo di rischio di mercato

β = coefficiente beta

– Rm Rf = differenziale tra tasso di mercato e tasso corrente di interesse privo di rischio di mercato (premio del rischio).

La progressione di imputazione della perdita durevole è analoga a quella già considerata nel paragrafo dedicato alla capacità di ammortamento. Per questo la perdita durevole di valore, se non riferita a un singolo bene, è imputata prima all’avviamento e, poi, in quota proporzionale ai beni dell’UGC.

I casi delineati nel contesto dell’OIC 9 in cui è possibile stimare la riduzione durevole di valore di una singola immobilizzazione sono riferibili ai beni che producono autonomamente flussi in entrata. Sono includibili in questa fattispecie, per esempio, marchi e brevetti dati in licenza e beni dati in noleggio o locazione.

INDICATORI DELLA SVALUTAZIONE

Il principio contabile OIC 9 individua anche quali siano gli elementi che portano ad una svalutazione: la verifica circa la svalutazione delle immobilizzazioni deve essere condotta quando vi siano degli indicatori che portano ad avere dubbi in merito all’effettiva recuperabilità del valore dell’immobilizzazione.

Nel paragrafo 13 vengono individuati una serie di fattori che vanno considerati “come minimo”, dice lo stesso OIC: questo significa che non si tratta di un elenco esaustivo ma solo esemplificativo, questo solamente per il metodo applicabile alle grandi imprese. Gli amministratori potranno quindi far riferimento innanzitutto a questi elementi, ma se ravvisano altri indizi che facciano temere la non recuperabilità, dovranno procedere alla verifica.

Rispettivamente nel paragrafi 13 e 16 del principio contabile vengono individuati gli indicatori utilizzabili per la verifica, a seconda la si valuti con il metodo standard basato sui flussi finanziari (per le grandi imprese), o con il metodo semplificato della capacità di ammortamento (utilizzabili facoltativamente per le PMI).

Pertanto vi sono due notevoli differenze:

  • nel metodo semplificato manca la variazione dei tassi di interesse, visto che questo metodo non prevede alcuna attualizzazione;
  • nel metodo semplificato non è prevista la locuzione “come minimo”, pertanto si potrebbe pensare che gli amministratori debbano valutare solo i fattori in esso elencati e, quindi, che l’elenco indicato dal principio contabile sia esaustivo!

Di seguito lo schema logico riportato in appendice (parte integrante del principio) al principio contabile per rilevare le perdite durevoli di valore.

ESISTONO SINTOMI CHE POSSONO PRESUPPORRE L’ESISTENZA DI UNA PERDITA DUREVOLE DI VALORE?

Se la risposta è POSITIVA (si) occorre procedere con la domanda successiva, se è NEGATIVA: non si procede ad effettuare ulteriori verifiche

Il VALORE EQUO è superiore al VALORE NETTO CONTABILE?                     

Se la risposta è POSITIVA (si) occorre procedere con la domanda successiva, se è NEGATIVA: non si procede ad effettuare ulteriori verifiche

Il VALORE D’USO è superiore al VALORE NETTO CONTABILE?                    

Se la risposta è POSITIVA (si) OCCORRE SVALUTARE, se è NEGATIVA: non si procede ad effettuare ulteriori verifiche

LA SVALUTAZIONE DAL PUNTO DI VISTA CONTABILE

Contabilmente, in base a quanto indicato nell’OIC 16 per le immobilizzazioni immateriali e nell’OIC 24 per quelle immateriali, le svalutazioni per perdita di valore hanno come contropartita una voce di Conto Economico e, precisamente:

  • nella voce B10c), se riconducibili alla gestione ordinaria,
  • nella voce E21, se di natura straordinaria (danneggiamenti a seguito calamità naturali, incendi o per piani aziendali di ristrutturazione societaria).

Analogamente, i ripristini di valore sono rilevati nella voce A5 se la precedente perdita di valore era riconducibile alla gestione ordinaria, o nella voce E20 se la precedente perdita di valore era di natura straordinaria.

In maniera correlata, occorrerà peraltro rilevare gli effetti di fiscalità anticipata e differitaderivanti dalla svalutazione. (Si rimanda a pag. 22 e seg. della circolare FNC, più volte citata, per un esaustivo esempio sul tema contabile).

 

NOTA INTEGRATIVA

L’articolo 2427 codice civile, al numero 3-bis) impone di indicare nella nota integrativa: “la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e immateriali, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante, al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell’esercizio;”.

Approccio Ordinario

Nella nota integrativa occorre indicare, inoltre, informazioni sulle modalità di determinazione del valore recuperabile, con particolare riguardo:

  • alla durata dell’orizzonte temporale preso a riferimento per la stima analitica dei flussi finanziari futuri;
  • al tasso di crescita utilizzato per stimare i flussi finanziari ulteriori;
  • al tasso di attualizzazione applicato.

Inoltre vanno indicate anche le informazioni sulle tecniche utilizzate per la determinazione del valore equo (fair value).

Approccio semplificato

Oltre ad indicare i dati relativi al fatto che la società possa adottare il metodo semplificato, occorrerà indicare in nota integrativa la durata dell’orizzonte temporale preso a riferimento per la stima analitica dei flussi reddituali futuri.

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Luca Santi
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