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L’aggressione militare russa ai danni dell’Ucraina. Il 24 febbraio sarà un anniversario triste
Ricorre quest’anno il triste anniversario della guerra in Ucraina che ha avuto inizio il 24 febbraio 2022. La Federazione Russa diede inizio ad un’offensiva militare nella vicina Ucraina invadendo le regioni del Donbass, del Doneck e del Lugansk che pochi giorni prima dell’invasione aveva dichiarato indipendenti dall’Ucraina.
In quei giorni, inoltre, il presidente russo Vladimir Putin cominciò ad ammassare una considerevole quantità di uomini e veicoli militari in Bielorussia – con la scusante di esercitazioni bilaterali congiunte – affermando di essere preoccupato dal fatto che l’Ucraina, in seguito ad alcune esercitazioni militari, tenutesi a ridosso dei suoi confini nazionali, potesse aderire alla NATO.
A tal proposito, infatti, la Russia inoltrò agli Stati Uniti e alla NATO due richieste di trattati contenenti richieste per quelle che definiva garanzie di sicurezza, tra cui la promessa “legalmente vincolante che l’Ucraina non avrebbe mai aderito alla NATO, nonché una riduzione delle truppe e dei mezzi della NATO stanziati nell’Europa orientale” minacciando una risposta militare nel caso in cui l’Alleanza Atlantica avesse continuato ad avere una “condotta aggressiva”.
L’aggressione militare russa ai danni dell’Ucraina – con l’avvio di un conflitto armato nel cuore dell’Europa – appare, per molte ragioni, l’evento destinato a caratterizzare il contesto internazionale per un tempo che non si prevede breve e le cui origini affondano in tempi lontani.
Già dall’ottobre 2021 erano stati numerosi gli avvertimenti diramati dai media su un’imminente invasione dell’Ucraina, ma gli alti funzionari russi avevano sempre negato di pianificarla. L’intervento armato russo diretto in Ucraina ha origine in un lungo conflitto diplomatico e militare fra i due Paesi tanto è vero che già nel 2007 Putin aveva affermato pubblicamente di considerare l’Ucraina come una minaccia per la sicurezza della Russia tanto che nel 2014 si verificarono i primi scontri armati.
Era il due maggio quando nella città di Odessa si affrontarono gruppi di filorussi, nazionalisti ucraini del partito di Pravyj Sektor e neonazisti legati agli ambienti ultras del Metalist Charkiv. Tali scontri, che provocarono la morte di 42 persone nell’incendio alla Casa dei sindacati, culminarono con l’annessione della Crimea e l’introduzione di vari divieti tra cui, per esempio, quello di importare film e libri che non dipingessero positivamente i russi, oppure il divieto di far ritorno a casa a tutti coloro che nei mesi precedenti non si erano pronunciati favorevolmente all’annessione della Crimea da parte della Russia. Inoltre fu messa fuorilegge la simbologia nazista e comunista e negato il sostegno ai movimenti LGBT e per l’identità di genere.
Va sottolineato che la guerra di Crimea trova le sue premesse storiche nella concezione imperialistica che la Russia ha sempre avuto di sé stessa: come disse l’ex segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, la situazione geografica della Russia, priva di confini naturali esclusi l’Artico e l’Oceano Pacifico, le ha permesso per molti secoli di sviluppare una politica estera basata sull’espansione dello Stato in ogni direzione riguadagnando la sfera di influenza persa con lo scioglimento dell’Unione Sovietica.
La guerra in Crimea ad ogni modo determinò l’avvicinamento dell’Ucraina ai Paesi occidentali (UE, NATO) e l’adesione all’EOP Program nel 2020 che esasperò la percezione della “sindrome di accerchiamento” della Russia.
Nel 2018 la Corte costituzionale dell’Ucraina annullò la legge introdotta da Yanukovych che consentiva l’utilizzo del russo come lingua ufficiale nelle regioni a maggioranza russofona di Donec’k e Luhans’k. Da allora la Russia ha denunciato in varie occasioni i presunti tentativi del governo ucraino di assimilare la minoranza russa.
Nelle settimane precedenti l’invasione, Putin ha addirittura dichiarato che nella regione del Donbass, i russofoni erano vittime “di una discriminazione che assumeva sempre più la forma del genocidio”. Queste dichiarazioni non trovarono credito negli Stati Uniti, che le ritenne una falsità riprovevole adoperata per preparare l’invasione dell’Ucraina, ma mai nessuno avrebbe creduto possibile invadere un Paese indipendente e sovrano, come si usava fare nel secolo scorso.
Sulla base di queste premesse il 20 febbraio, in violazione del Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza dell’Ucraina, inviò le proprie forze armate a presidiarne il territorio.
Il 23 febbraio il parlamento ucraino proclamò lo stato di emergenza nazionale di 30 giorni (entrato in vigore a mezzanotte), con esclusione dei territori occupati nel Donbass, e ordinò la mobilitazione di tutti i riservisti delle forze armate ucraine.
All’alba del 24 febbraio Putin ha annunciato un’operazione militare speciale nell’Ucraina orientale finalizzata a garantire la sicurezza dei cittadini russi, e minacciando che i Paesi che fossero intervenuti avrebbero fronteggiato conseguenze mai viste prima.
Di lì a poco il presidente Putin è stato autorizzato all’unanimità, dal Consiglio della Federazione, a usare la forza militare fuori confine.
Aggredendo l’Ucraina Putin non solo ha voluto garantire la sicurezza territoriale della Federazione russa ma, più in generale, ha voluto contestare la leadership mondiale degli Usa rilanciando il ruolo della Russia sulla scena internazionale.
L’Occidente dal canto suo ha reagito tempestivamente e in modo compatto all’aggressione russa fornendo all’Ucraina solidarietà politica e assistenza economica.
Ciò nonostante, le debolezze strutturali che la guerra ha fatto emergere all’interno dell’UE sono molteplici, tra di esse per esempio: l’approvvigionamento energetico, la necessità di ridurre la dipendenza dall’estero per il reperimento delle materie prime in alcuni settori essenziali dell’economia, accelerare il processo di rafforzamento delle capacità della Ue nel campo della sicurezza e della difesa.
Ad oggi non possiamo dire quando questo conflitto giungerà a termine, e molta strada c’è da fare per raggiungere l’obiettivo della autonomia strategica dell’Europa, ma possiamo affermare con certezza che Putin è indifferente ai bagni di sangue e che per lui, probabilmente, non c’è molta differenza fra il massacro degli ucraini e quello del popolo russo.
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