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Licenziamento illegittimo: fare shopping durante i permessi ex Legge 104 non è abuso

Avvocato esperta in diritto penale, civile, del lavoro, dell'impresa e dell'immigrazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24130 del 9 settembre 2024, ha stabilito che non costituisce abuso dei permessi ex L. 104/1992 il comportamento della lavoratrice che, durante il tempo concesso per l’assistenza alla madre disabile, dedichi brevi momenti a proprie necessità personali, come l’effettuare acquisti per sé o per il familiare assistito. Tale decisione contribuisce a delineare più chiaramente i limiti nell’uso dei permessi previsti dalla L. 104/1992, confermando che tali permessi possano includere brevi interruzioni non strettamente collegate all’assistenza, purché la finalità assistenziale resti prevalente.

Il caso esaminato

Nel caso specifico, a una lavoratrice è stato contestato di aver dedicato solo alcune ore della giornata all’assistenza della madre e, in due occasioni, di non essersi recata presso l’abitazione del familiare. Tali comportamenti hanno spinto il datore di lavoro a procedere con il licenziamento per giusta causa, ritenendo che l’uso non conforme dei permessi avesse determinato una perdita di fiducia e un danno economico per l’INPS, ente erogatore dell’indennità. Tuttavia, il Tribunale e la Corte di Appello di Napoli hanno stabilito che la lavoratrice, pur avendo effettuato degli acquisti personali, aveva comunque dedicato il tempo necessario all’assistenza della madre. La Cassazione ha quindi confermato la decisione di reintegrare la dipendente, riconoscendole tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento alla riammissione in servizio, ritenendo fondamentale il nesso di causalità tra il permesso fruito e l’attività di assistenza, che nel caso in questione risultava dimostrato.

La valutazione della Corte e il principio della flessibilità

La Cassazione ha sottolineato che, sebbene l’uso dei permessi per fini estranei all’assistenza possa configurare un abuso, è necessaria una valutazione flessibile. La finalità del permesso può essere considerata preservata anche se il lavoratore svolge brevi attività personali, purché la parte prevalente della giornata sia dedicata all’assistenza del familiare. Questo approccio tiene conto dell’esigenza di un equilibrio tra la finalità assistenziale e la vita privata del caregiver, stabilendo che brevi interruzioni non interrompono il rapporto di assistenza, purché non compromettono l’effettivo supporto fornito.

Riferimenti a precedenti giurisprudenziali

In particolare, l’ordinanza richiama la sentenza Cass. n. 25290/2022, che ha precisato due aspetti rilevanti per l’utilizzo corretto dei permessi ex L. 104/1992:

  • la verifica del corretto uso dei permessi deve avvenire su base giornaliera, e non solo rispetto all’orario di lavoro del dipendente;
  • l’assistenza non richiede necessariamente la presenza fisica costante accanto al familiare, potendo comprendere attività che facilitano la cura della persona assistita, come andare a fare spese o svolgere incombenze per il familiare.

In altre sentenze, come Cass. n. 7306/2023, è stato considerato legittimo che, durante i permessi, il lavoratore si dedichi anche ad attività per il proprio benessere psicofisico, come una breve pausa in un parco. La Corte ha altresì stabilito che attività collaterali, come fare la spesa o recarsi dal medico per il familiare, sono compatibili con l’uso dei permessi.

La questione del licenziamento per attività estranee all’assistenza

Vi sono diversi precedenti nei quali la Corte ha comunque considerato legittimo il licenziamento per attività non compatibili con la finalità assistenziale dei permessi. Ad esempio, la partecipazione a gare di danza o l’uso del tempo per altri impieghi lavorativi sono stati valutati come comportamenti abusivi (Cass. n. 8784/2015; Cass. n. 9217/2016). La Cassazione, inoltre, ha avallato l’uso di agenzie investigative per verificare il corretto utilizzo dei permessi: in Cass. n. 6468/2024, il controllo è stato considerato legittimo qualora finalizzato a individuare comportamenti illeciti come, appunto, l’uso improprio dei permessi ex lege 104 e non la semplice assenza del lavoratore.

La prova dell’abuso e la responsabilità delle parti

In caso di controversia, spetta al datore di lavoro dimostrare in modo chiaro l’abuso dei permessi, come stabilito in Cass. n. 12032/2020. Tuttavia, il lavoratore deve poter dimostrare l’effettivo svolgimento dell’assistenza anche in un luogo diverso dall’abitazione del familiare (Cass. n. 30462/2023). È inoltre previsto che l’abuso dei permessi possa avere anche rilevanza penale, configurando il reato di truffa ai danni dello Stato qualora i permessi vengano utilizzati per finalità di svago completamente estranee all’assistenza (Cass. pen. n. 54712/2016).

Orbene, la decisione della Cassazione del 2024 sancisce un orientamento più flessibile nell’interpretazione dell’uso dei permessi ex L. 104/1992. In assenza di un utilizzo strumentale o di comportamenti fraudolenti, la Suprema Corte riconosce l’importanza di un bilanciamento tra la finalità assistenziale e la possibilità per il lavoratore di dedicare momenti marginali ad attività personali o di supporto, favorendo una visione più ampia dell’assistenza che tenga conto anche delle necessità quotidiane del caregiver.

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