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Limitazione della responsabilità penale del Curatore negli obblighi ambientali

Giornalista pubblicista.
Dottore Commercialista
Revisore Legale dei conti
Docente e formatore Crisi d’impresa

La responsabilità della Curatela in ordine ai profili ambientali impegna su diversi fronti la giurisprudenza amministrativa, civilistica e penale con la necessità di operare una combinata lettura volta a contemperare ed armonizzare le diverse esigenze. Di certo, dopo la Sentenza n° 3 del 26/01/2021 resa dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, il quadro pare essere decisamente più chiaro, ricavandosi il principio di diritto secondo il quale “ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 ed i relativi costi gravano sulla massa fallimentare”. Principio che, tuttavia, opera nelle sole ipotesi in cui il Curatore abbia inventariato i beni e non li abbia successivamente “abbandonati”, divenendo determinante l’aver stabilito un duraturo “rapporto di materialità” con il bene immobile in cui giacciono i rifiuti precedentemente prodotti, o direttamente con gli stessi.

Indagando la vicenda dal versante penalistico, animati dalla necessità di comprendere gli impatti sulla sfera personale del Curatore, deve annotarsi un recentissimo orientamento che esclude la responsabilità di quest’ultimo in maniera, se vogliamo, anche più ampia rispetto a quanto stabilito in sede amministrativa.

Già la giurisprudenza penale di legittimità (Cass. Pen.Sez. III, 28 settembre 2016, n. 40318), ancor prima della chiarificatrice sentenza dell’Adunanza Plenaria e seguendo l’antico brocardo ad impossibilia nemo tenetur, aveva escluso la responsabilità del Curatore in ordine agli obblighi ambientali, sul presupposto della mancanza di un fenomeno successorio, evidenziando “l’assenza di una cornice normativa di carattere generale diretta a disciplinare lo svolgimento di attività conservative nella fase post-operativa nel caso in cui il soggetto giuridico originariamente autorizzato allo svolgimento dell’attività gestoria sia venuto meno”.

Il tema è oggi ripreso, con ancora maggior vigore, dalla Cassazione Penale (Cass., Sez. 3 Pen., 19 gennaio 2024, n. 9461) la quale ha statuito che, in tema di rifiuti, la disponibilità in capo al curatore fallimentare dell’area ove questi ultimi si trovano in stato di abbandono o deposito non ha efficacia scriminante del reato di cui all’art. 255, comma 3, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 per inesigibilità della condotta, posto che il legale rappresentante della società fallita, legittimo destinatario dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti emessa ai sensi dell’art. 192, comma 3, medesimo D.Lgs. è, in quanto tale, unico soggetto  obbligato; con la conseguenza che, laddove non abbia validamente contestato in sede giurisdizionale la legittimità di detta ordinanza, è tenuto ad attivarsi per ottenere l’autorizzazione ad accedere all’area ed ottemperare all’ordine.

La questione posta all’attenzione del giudicante, esaminata anche alla luce della nota sentenza del Consiglio di Stato, determina un primo determinante effetto (che, tra l’altro, deve orientare le scelte dell’organo deputato ad emettere i provvedimenti), ovvero che l’ordinanza volta ad ottemperare l’obbligo di smaltimento e/o di ripristino deve avere come legittimo destinatario il “responsabile della condotta di abbandono o di deposito dei rifiuti nonché del proprietario dell’area interessata e dei titolari dei diritti reali e personali di godimento sulla stessa, i quali sono obbligati in solido con il primo”; responsabile che viene individuato, in tutti i casi, nel legale rappresentante della società alla data dell’intervenuto fallimento, o, in quello che ha precedentemente posto in essere la condotta censurata, ma giammai nel Curatore.

Osserva, infatti, il Giudicante di seconde cure, con piena adesione della sentenza della Cassazione Penale, che “la precisata società è da ritenersi responsabile dell’inquinamento in quanto soggetto produttore dei rifiuti e proprietario del suolo di illecito stoccaggio degli stessi e che l’attuale ricorrente (n.d.r. quello nei confronti del quale era stato legittimamente emesso il provvedimento di rimozione dei rifiuti) era il legale rappresentante di tale impresa nel momento della produzione e della raccolta dei predetti scarti”, e che “l’attuale ricorrente, dopo la notifica dell’ordinanza, è rimasto del tutto inerte e non si è attivato né presso il Curatore fallimentare per poter adempiere, né in sede giurisdizionale, per essere autorizzato ad accedere all’area da bonificare o per contestare la legittimità dell’ordine”.

La posizione che, dunque, assume la giurisprudenza in commento va, a ben vedere, anche oltre il sottostante della decisione del Consiglio di Stato, determinando, in chiave penalistica, l’assoluta estraneità della procedura concorsuale alle violazioni degli obblighi ambientali conseguenti a condotte poste in essere prima della dichiarazione di fallimento (oggi di liquidazione giudiziale), rendendo il Curatore immune da responsabilità penale anche nell’ipotesi in cui lo stesso abbia provveduto ad inventariare i beni ed a stabilire il rapporto di materialità diretto con l’area ed i rifiuti.

Tommaso Nigro
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