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L’interpretazione evolutiva del Codice della Crisi e gli impatti sulle procedure attuali

Giornalista pubblicista.
Dottore Commercialista
Revisore Legale dei conti
Docente e formatore Crisi d’impresa

L’applicabilità in chiave ermeneutica del D.Lgs 14/2019 alle procedure in corso nelle sole ipotesi di continuità di ratio

L’intervento normativo di cui alla D.L. 118/2021, che ha trovato la conversione nella legge 147/2021 in data 23.10.2021, contiene in sé importanti novità disponendo, tra l‘altro, il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, recato dal D.Lgs. 14/2019, al 16 maggio 2022.

In attesa dell’effettiva operatività delle nuove norme che, si ricorda, si renderanno applicabili per le procedure aperte a partire dalla data di effettiva entrata in vigore, torna ancor più di attualità il tema dell’utilizzo in chiave evolutiva delle disposizioni future.

Nel fermento del dibattito dottrinale, la giurisprudenza di legittimità, nel richiamare l’indiscusso dato normativo secondo il quale ” Il C.c.i.i. è testo in generale non applicabile – per scelta del legislatore – alle procedure.. aperte anteriormente alla sua entrata in vigore (art. 390, comma 1, C.c.i.i.)”, ha avuto cura di precisare che “la pretesa di rinvenire in esso norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare potrebbe essere ammessa se (e solo se) si potesse configurare – nello specifico segmento – un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro” (Cass., Sez. U., n. 12476 del 24/06/2020).

Principio ripreso da altra pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. Sez. Unite n. 8504/2021), la quale, in riferimento all’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 125/2020 (avente ad oggetto le modifiche agli accordi di ristrutturazione) ha affermato che “intendendosi senz’altro ribadire tale principio di diritto, anche per accedere alla tesi agenziale circa la possibilità di impiego ermeneutico della nuova normativa del CCII (quale come detto già anticipata), è dunque necessario stabilire in via di comparazione se vi è o meno “continuità” tra le disposizioni legislative direttamente applicabili e quelle che lo saranno ai giudizi instaurati successivamente al 4 dicembre 2020”.

Sicché, stabilito che il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza può senz’altro orientare l’interpretazione delle disposizioni vigenti, escludendo che esso possa valere a giustificare un’interpretazione antiletterale ed anzi abrogativa delle norme che ad oggi governano la materia, è ben possibile sostenerne l’applicabilità qualora  possa individuarsi continuità di ratio tra vecchie e nuove disposizioni.

In argomento giova richiamare un recente ed interessante provvedimento di merito (Tribunale di Latina 19.10.2021 Est. Lulli) il quale, chiamato a pronunciarsi in ordine alla legittimazione del curatore di un fallimento chiuso ex art. 118 n. 3) R.D. 267/42 a proseguire i giudizi pendenti, ha fatto buona applicazione del suddetto principio sostenendo, nel caso di specie, che “non possa escludersi che la comparazione tra la norma contenuta nell’art. 118 legge fallimentare e quella contenuta nell’art. 234 del codice della crisi di impresa, lasci emergere una continuità di ratio, nel senso che, ciò che l’art. 118 non dice espressamente – verosimilmente a causa della concisa tecnica redazionale – viene esplicitato dall’art. 234 del c.c.i.”. Conseguentemente, “ rilevato che l’art. 118 richiamato dispone che “la chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio ai sensi dell’art. 43” e che l’art. 234 del codice della crisi di impresa prevede che “la legittimazione del curatore sussiste altresì per i procedimenti, compresi quelli cautelari e esecutivi, strumentali all’attuazione delle decisioni favorevoli alla liquidazione giudiziale, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura”; osservato che la norma, nella nuova formulazione, appare chiarire e specificare l’ambito nel quale il curatore, non soltanto conserva la legittimazione a continuare i giudizi pendenti, ma anche quella ad iniziare i giudizi nel quale il fallimento, ancorché chiuso, è parte, che siano strumentali all’attuazione di decisioni favorevoli alla liquidazione; ritenuto, in altri termini, che la possibilità per il curatore del fallimento chiuso, di iniziare “giudizi cautelari e esecutivi, strumentali all’attuazione delle decisioni favorevoli alla liquidazione giudiziale, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura”, non contraddica il dettato dell’art. 118 l.f., atteso che, con particolare riferimento all’inizio del processo esecutivo per la realizzazione di una pretesa economica del fallimento, detto processo rappresenta una logica e naturale evoluzione di quello nel quale è venuto ad esistenza il titolo esecutivo, sicché il concetto di “pendenza”, possa senz’altro ravvisarsi in tale situazione”, giunge alla conclusione che “nonostante la curatela abbia iniziato la presente esecuzione immobiliare successivamente alla chiusura del fallimento, non possa escludersi che sussista la legittimazione del curatore, il quale, autorizzato dal G.D., ha azionato un titolo conseguito dal fallimento, allo scopo di soddisfare il più possibile le pretese del ceto creditorio”.

Tommaso Nigro
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