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Per patteggiare occorre sempre (e comunque) pagare
In relazione al sistema dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, la Corte di Cassazione esclude il patteggiamento per il reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili in mancanza dell’estinzione del debito tributario. Di conseguenza, l’autore del delitto documentale deve essere giudicato secondo il rito “ordinario”.
La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della possibilità di ricorrere all’Istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d: “patteggiamento”) in relazione al sistema dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto senza che vi sia stata l’estinzione integrale del debito tributario. Nella circostanza i Giudici di legittimità hanno statuito che il successivo adempimento dell’obbligazione tributaria è richiesto anche per la definizione del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 del D:Lgs. n. 74 del 2000) con la conseguenza che, mancando la corresponsione da parte dell’autore del delitto documentale, questi deve essere inevitabilmente estraneo verso il rito “ordinario”.
Occorre premettere che, in base all’art. 13-bis, comma 2, del D.Lgs n. 74 del 2000, l’applicazione della pena su richiesta per i delitti tributari può avvenire soltanto quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, vale a dire l’estinzione integrale del debito fiscale, comprensivo delle sanzioni amministrative e degli interessi, in un momento antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, se del caso ricorrendo all’istituto del ravvedimento operoso.
Lo stesso articolato, fa salve le previsioni di cui all’art. 13 commi 1 e 2, dello stesso D:Lgs. n. 74 del 2000, in base alle quali la rifusione del debito tributario prima della fase dibattimentale assurge addirittura a causa di non punibilità dei delitti di:
- omesso versamento e di indebita compensazione di crediti non spettanti; (artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater comma 1);
- dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3), dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art.5), purchè la regolarizzazione (comprensiva della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine dichiarativo relativo al periodo di imposta successivo) avvenga prima che il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o penale.
Un processo che si è consolidato con il D.L. n. 124 del 2019, grazie al quale il novero dei reati estinguibili con la soddisfazione dell’obbligazione tributaria è stato esteso alle condotte di frode (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2) e mediante altri artifici (art.3), le cui conseguenze, stante la rigorosa impostazione dell’Amministrazione, non potevano essere rimosse nemmeno con il ricorso all’Istituto del ravvedimento operoso.
La condizione di partenza è che il comportamento del contribuente abbia causato una perdita finanziaria all’Amministrazione, omettendo di versare le imposte dovute, e che questi provveda a ripristinare lo status de quo ante corrispondendo al danneggiato non soltanto l’equivalente del mancato introito fiscale e degli interessi del ritardato pagamento, ma anche le sanzioni amministrative comminate dalla legge tributaria.
I comportamenti stigmatizzati dall’art. 10 del D.Lgs n. 74 del 2000 rappresentano, quindi, una sorta di post (o ante) facta punibili soltanto in caso di chiara preordinazione evasiva e di ostacolo concreto alla ricostruzione della materia imponibile, circostanze di per sè non dannose (in senso monetario) per l’Erario. Infatti, dibattendosi di un reato di pericolo potrebbe ben verificarsi episodi di occultamento o distruzione delle scritture contabili improduttivi di risparmio fiscale o correlati a illeciti tributari penalmente irrilevanti (si pensi, ad esempio, alle ipotesi di elusione fiscale o dichiarazione infedele contenuta entro le soglie di punibilità).
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