Il DL 7 maggio 2024, n. 60, noto come decreto "Coesione" entrato in vigore l’8.5.2024, giorno…
Regole certe per le cessioni coattive
Nel più generale contesto delle operazioni di liquidazione dell’attivo attuate all’interno delle procedure concorsuali un ruolo di rilievo riveste la cessione dei beni immobili, caratterizzata sin dai suoi albori da una certa rigidità di regole, probabilmente dettate dalla particolare rilevanza, anche in termini economici, che detti cespiti assumono nel contesto sociale. Prescindendo dall’ipotesi di intervento nella procedura esecutiva, si pone per il Curatore una prima meditazione, e cioè se fare o meno utilizzo della previsione di cui al secondo comma dell’art. 107 RD 267/42.
E’ vero infatti che, per una serie di non del tutto comprensibili ragioni, il legislatore della prima riforma – ma a ben vedere anche l’attuale disposizione emendata di cui all’art.216 CCI va in questo senso – ha voluto mantenere in capo al Giudice Delegato un potere di svolgimento delle operazioni di vendita, in tal caso facendo uso degli schemi processuali elaborati nel codice di rito per l’esecuzione individuale e lasciando la scelta di avvalersi di tale modalità alle valutazioni del Curatore nell’ambito del programma di liquidazione. Con una disposizione che lascia molto perplessi atteso che, dopo aver operato un radicale revirement, è stata nuovamente introdotta la possibilità di avvalersi dell’opera del Giudice Delegato, così riportando la vendita all’interno delle aule giudiziarie.
Tuttavia, laddove il Curatore opti per l’applicazione del primo comma dell’art. 107 RD 267/42. è previsto che la liquidazione debba comunque avvenire (a) sulla base di stime, effettuate da parte di operatori esperti, in modo tale che siano assicurate, mediante adeguate forme di pubblicità, (b) la massima informazione e (c) la massima partecipazione degli interessati. In tale contesto, il curatore, in virtù della deformalizzazione voluta dal legislatore e considerata l’assenza di regole prestabilite, è chiamato a determinare la procedura che, sulla base della situazione concreta, sia ritenuta maggiormente idonea alla massimizzazione del risultato. Sicché, stante l’ampia portata della norma e l’elevata dose di discrezionalità che sin dalla prima riforma il legislatore ha voluto attribuire all’operato del curatore, il vero problema da affrontare resta quello della codificazione di una procedura che possa dirsi rispettosa dei dettami di legge; potendo ritenere opportuno, ad esempio, mutuare le regole dettate dal C.p.c. nella misura in cui le stesse siano adattabili e coerenti con la natura dei beni trattati, operando quel processo di “cannibalizzazione” delle norme codicistiche da parte della legge fallimentare con adozione delle prescrizioni contenute nel codice che maggiormente si attagliano alla tipologia di vendita, ma senza essere vincolati al rispetto di tutto l’impianto dell’esecuzione individuale.
Il che impone, comunque, la soggezione della procedura competitiva adottata alle regole generali dell’ordinamento. Un recentissimo arresto della Cassazione (sentenza 21007 del 01.07.2022) consente di ritornare sul tema per ribadire che “la discrezionalità spettante al curatore nella scelta tra le predette modalità di liquidazione, pur comportandone, in caso di ricorso a una procedura competitiva, la sottrazione alla rigorosa osservanza delle forme previste dal codice di rito (cfr. Cass., Sez. I, 19/10/ 2011, n. 21645), non lo dispensa infatti dal rispetto di regole minime di correttezza e trasparenza, comuni a tutte le procedure di gara e normalmente consacrate nell’avviso di vendita, aventi la finalità di garantire non solo la più ampia partecipazione possibile alla competizione, in vista del raggiungimento del miglior risultato economico, ma anche la massima informazione degl’interessati, attraverso un adeguato sistema di pubblicità (cfr. Cass., Sez. I, 6/ 09/2019, n. 22383; 20/12/2011, n. 27667), e la posizione di parità tra gli offerenti, nonché la tutela dell’affidamento da ciascuno di essi riposto in ordine al regolare svolgimento della gara, il quale esige innanzitutto l’immutabilità delle condizioni fissate nell’avviso di vendita (cfr. Cass., Sez. III, 10/12/ 2019, n. 32136; 29/05/2015, n. 11171; Cass., Sez. VI, 7/05/2015, n. 9255)”. Nel caso in esame il curatore aveva errato nel considerare ammesso alla gara un partecipante che aveva offerto, in partenza, un prezzo inferiore a quello minimo stabilito nell’avviso, risultando poi aggiudicatario all’esito dell’indetta competizione.
La Cassazione, investita della questione, sul presupposto che, tanto nel processo di espropriazione forzata quanto nel fallimento, la complessa fase della vendita include anche gli atti preparatori “la cui mancanza o irregolarità è destinata a ripercuotersi sulla validità dell’atto finale, determinandone la nullità” ha ritenuto che l’alterazione dello sviluppo della procedura e destinato a tradursi nell’illegittimità dell’aggiudicazione e nella conseguente invalidità dell’atto conclusivo, così valorizzando la più volte invocata, spesso anche ad altri fini, tutela dell’affidamento dei terzi e la garanzia di parità di trattamento dei competitori.
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